L’epidemia di coronavirus, per i media italiani, è un paradosso: le visite e gli ascolti esplodono, i ricavi pubblicitari crollano.
Secondo un report dell’agenzia media Inmediato Mediaplus, nelle ultime settimane la televisione ha aumentato l’audience del 17% nel day time e del 10% nel prime time rispetto al periodo omologo del 2019. A beneficiare del boom sono soprattutto le reti di notizie e di informazione locale. Ma anche la radio sta andando bene e l’informazione online, com’è intuibile, sta superando tutti i record: secondo il rapporto, fra le testate giornalistiche il gruppo Gedi è quello che segna il maggior incremento, pari circa all’80%, seguito da Rcs, che aumenta le visite del 60%. «Si tratta di una situazione ideale per il traffico e le pagine viste, abbiamo tutti raggiunto picchi che non vedevamo dalle ultime elezioni politiche e che stanno proseguendo in modo costante dallo scoppio dell’epidemia a fine febbraio», racconta a Linkiesta Monica Belgeri, consigliere di Fedoweb, la Federazione degli operatori web e la più grande associazione degli editori e operatori online in Italia, e responsabile advertising de Il Fatto Quotidiano.
Ma il Paese fermo su internet e davanti alla televisione porta con sé un effetto collaterale: la crisi economica. E quando le cose vanno male è il settore della pubblicità, fondamentale per i ricavi delle aziende editoriali, a subire un’immediata contrazione. Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’informazione, Claudio Martella, se da un lato «un’informazione corretta garantisce la coesione del tessuto sociale e la democrazia», allo stesso tempo «la filiera è in affanno e ora è pure crollata la pubblicità, un po’ per il clima generale, un po’ per la sospensione di tanti eventi». Massimo Martellini, presidente della Federazione Concessionarie Pubblicità (FCP), spiega che la situazione è paradossale: «Quasi tutti i mezzi stanno incrementando la diffusione di audience, ascolto e utilizzo del web, che però non può essere utilizzato ai fini della vendita perché non c’è domanda».
Se Google e Facebook hanno fermato le pubblicità sulle mascherine per limitare gli speculatori, in tv e sui social si trovano gli spot e le pubblicità progresso promosse dal ministero della Salute per informare sulle buone pratiche per prevenire il contagio. Addirittura c’è chi sta già lavorando a una pubblicità per promuovere l’Italia quando l’emergenza sarà finita, come la scuola My Personal English Coach e la 24ORE Business School attraverso il workshop a distanza “Rebranding Italy: Visit IT”. Tutte le imprese sono in crisi, con campagne annullate che raggiungono quote del 50% e sospensioni al 12%, secondo il rapporto Inmediato Mediaplus.
I primi a fermarsi sono stati gli operatori culturali: cinema, teatri, musei: «Il cinema in particolare è il settore che sta pagando più di tutti. Aveva fatto un buon lavoro negli scorsi mesi ma adesso è fermo perché hanno chiuso tutto, soffrono in maniera totale. Non è un caso che per i lavoratori del mondo dello spettacolo il governo stia prevedendo un aiuto più diretto», puntualizza Martellini. Anche il settore dei viaggi e delle attività ricreative sono bloccati. Secondo il rapporto, la maggior parte delle aziende ammette ripercussioni negative per via del coronavirus, con picchi del 70% in Nord Italia, soprattutto nel settore alberghiero e della ristorazione (99%). Chi può, per salvare il fatturato si butta sull’e-commerce, in fortissima crescita, +53% tra il 1 febbraio e il 10 marzo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ma settori che non sono attrattivi in ambito emergenziale, come la moda o le auto, per esempio, sono fortemente penalizzate. E non hanno interesse a finanziare campagne pubblicitarie.
Anche perché i grandi eventi, come quelli sportivi, sono stati rinviati, così come rinviata è la possibilità di sfruttare la loro visibilità: «Con tutti gli eventi che sono saltati, lo stesso è successo ai budget. Annullati gli Europei di calcio e a rischio le Olimpiadi di quest’estate, le aziende non possono più contare sulle sponsorizzazioni sulle quali invece puntavano», puntualizza Belgeri. «Stiamo assistendo ad una cosa inedita e stiamo cercando di tenere i denti stretti, ma il danno si registra su tutta la filiera, dai centri media ai clienti».
«Si parla di un sistema che cala del 15% nel semestre da qui a giugno. Dal punto di vista macroeconomico siamo tutelati dal fatto che l’epidemia è mondiale, se fossimo stati da soli sarebbe stato peggio. Speriamo di uscire dalla crisi più velocemente di quanto ci siamo entrati. Le politiche a sostegno delle aziende riguarderanno anche quelle di comunicazione, e speriamo che siano in grado di tenere in piedi il sistema», aggiunge Martellini.
Al momento le perdite, sottolineano gli esperti del settore, non sono quantificabili, è ancora troppo presto per misurare gli effetti dello stop nel lungo periodo. Molto dipende da quanto durerà la quarantena e la sospensione delle attività. Ma certo è che un mondo come quello della pubblicità e della comunicazione in generale – un mercato del valore di «circa 6,5 miliardi l’anno», specifica Martellini – è e sarà cruciale per la ripresa, quando si tratterà di ricostruire la fiducia verso il sistema e tra le persone.
In questo contesto, la sopravvivenza sembra essere garantita soltanto a chi si occupa di beni di prima necessità, come gli alimentari, e chi commercia prodotti per l’igiene personale. «Anche in televisione sono spariti un gran numero di spot, si vedono soltanto pubblicità di detersivi», puntualizza Belgeri. Le aziende di questo settore, secondo il rapporto Inmediato Mediaplus, hanno «impostato politiche commerciali aggressive per supportare gli investimenti». Mentre tutti gli altri, al massimo, possono cercare di utilizzare i social per mostrare i propri valori e il proprio sostegno alla popolazione in questo momento difficile. In generale «vince l’atteggiamento etico e la risposta tattica alla crisi. Le aziende sono impegnate nel garantire la salute dei dipendenti e dei propri clienti e ad immaginare politiche di ripartenza», specifica il rapporto.
E così quella che a prima vista poteva sembrare una grande opportunità di marketing per le aziende, anche online, in realtà è una ragione per contenere i costi. Su internet, ad esempio, «le campagne premium, ovvero quelle ordinate dai singoli clienti per lanci di prodotti e simili e caricate direttamente su specifici siti sono state bloccate, mentre le campagne programmatic (quelle basate sull’acquisizione di dati forniti da cookie e pixel e che permettono successivamente di acquistare in maniera automatizzata gli spazi pubblicitari, ndr) stanno proseguendo, ma con il problema che vengono vendute a molto meno, complice l’alto numero di impression», spiega Belgeri. Un altro problema su internet è costituito dai messaggi fraudolenti: «ce ne sono diversi che propongono mascherine a prezzi stracciati, siti strani che vendono prodotti igienizzanti fasulli, oppure quelli che usano i volti dei vip per spingere le persone a compiere investimenti falsi», spiega Belgeri. «Noi facciamo il più possibile per rimuoverle, ma sono difficilissime da rintracciare anche perché non partono da investitori né italiani né europei».
Ciò detto, almeno dal punto di vista dell’informazione i giornali hanno la possibilità di distinguersi positivamente. «L’informazione più titolata sta emergendo come mai prima, è un mondo che sta facendo vedere il suo vero valore, pur di fronte all’interferenza delle fake news», puntualizza il presidente di FCP. In questo senso il mantenimento dell’apertura delle edicole sta salvando tanti giornali, che anzi «registrano vendite a doppia cifra», assicura Martellini. Addirittura capita che gli edicolanti vendano tutto ciò che hanno nella giornata: «Credo che questa decisione abbia avuto un doppio scopo, consente ai cittadini di restare informati, ma anche ai giornali di contenere le perdite», dice Belgeri. Ma l’aumento di vendite in edicola non riguarda tutti: «I giornali sportivi, ad esempio, soffrono come non mai a causa della sospensione dei campionati. Le testate locali, invece, non possono più contare sugli introiti della pubblicità di eventi, ristoranti e realtà sul territorio», aggiunge la consigliera Fedoweb.
I danni, insomma, rischiano di diventare ingenti per tutti, e «bisognerà capire a tutto il mondo della comunicazione che cosa succederà. Sicuramente non sarà un anno facile», dice Belgeri. Martellini, però, si considera ottimista: «il sistema non è in crisi strutturale, è molto sano, il problema è solo di domanda e offerta. Il fattore fondamentale è il tempo: un’interruzione per un mese è pesante ma il sistema regge, per due mesi anche. Se riparte la domanda di tutto, l’offerta è pronta, sia delle aziende che della comunicazione». «Forse si potrebbe stabilire un’Iva più bassa per i libri quando si tornerà alla normalità, delle iniziative per sostenere la filiera culturale e di informazione in generale, per far recuperare quanto perso», suggerisce Belgeri. Siamo di fronte a un cambiamento epocale? Difficile dirlo. Sicuramente questo momento ci sta insegnando l’importanza della rete, e anche di come i social network si possano usare in modo positivo. Ma il mercato andrà tutelato, conclude Martellini. «L’unico augurio è che duri il meno possibile. Ma questo dipende anche dalla capacità delle persone di osservare le regole della quarantena, perché altrimenti tutte le risorse del Paese saranno tutte occupate a sostenere il sistema sanitario. Perciò la ripresa dipende anche da ciascuno di noi».