Parlamento è aperto ma è chiuso, una situazione pirandelliana peggio del ristorante che non ristora nessuno o del barbiere senza barbe da radere. Chiusi da giorni buvette e archivio, commissioni e entrate secondarie, sguarnite le sale stampa e deserti i corridoi, dimezzato il personale e spariti gli onorevoli, la presa dei palazzi del potere non è avvenuta per mano dei rivoluzionari ma dalla sacrosanta ansia di non far correre il virus. Di fronte alla strana guerra antivirus è stucchevole ricorrere a prerogative, regolamenti, precedenti e commi vari. Già, è inutile far finta di niente, perché, come ci ha detto il costituzionalista e deputato Stefano Ceccanti :«La pretesa di far funzionare il Parlamento con le regole dei periodi normali rischia di portare alla sostanziale chiusura delle Camere».
Infatti in vista della importante seduta sullo scostamento del bilancio c’è stato già un primo accordo su uno strappo alle regole: in Aula basta la metà dei componenti, un’autoriduzione indotta dal virus e non da Beppe Grillo, comunque il segno che la guerra è guerra anche fra i velluti di Montecitorio e gli stucchi di palazzo Madama, checché ne pensi il senatore Luigi Zanda, fermo nelle sue certezze come i vecchi conservatori dell’Ottocento: «Non voglio nemmeno dar retta alle stravaganze fantasiose sul voto telefonico o online dei parlamentari». Ma di solito i conservatori soccombono davanti alla realtà, buona o cattiva che sia.
Per fortuna c’è chi si sforza di fare i conti con questa inedita situazione deponendo ogni retorica. Il giurista Salvatore Curreri ha scritto su Lacostituzione.info un articolo molto interessante nel quale si chiede di «affrontare il problema alla radice, anche per evitare che il diffondersi dell’epidemia impedisca alle Camere financo di raggiungere il numero legale della maggioranza dei componenti prescritto dall’art. 64.3 Cost. per ogni deliberazione, sarebbe il caso di affrontare da subito il tema dell’introduzione del voto telematico». Ecco la spiegazione di merito: «Nessuna norma vigente e tale da escludere che le Camere possano introdurre l’intervento a distanza e il voto telematico in circostanze eccezionali», in quanto «le Camere godono di ampia autonomia» per quel che concerne «le modalità di votazione», a patto naturalmente che vi sia accordo fra i gruppi parlamentari nell’introdurre novità nel funzionamento del Parlamento.
Todo cambia, per tutti. Ci chiediamo perché i deputati e i senatori non organizzino videoconferenze e sedute di Commissione o perché la conferenza dei capigruppo non si riunisca in streaming. Fino, appunto, a tenere le sedute via Internet. Ancora Ceccanti ci dice che «prima ci si rende conto che l’emergenza va gestita con regole d’emergenza meglio è».
Ovviamente bisogna sottolineare cento volte che si tratterebbe di innovazioni eccezionali e temporanee dovute alla anomala situazione di queste settimane. Ecco perché tutto questo, a nostro parere, è il contrario della demagogia casaleggiana. Il guru del Movimento Cinquestelle immaginava/auspicava la fine della dialettica parlamentare in una post-democrazia sostanzialmente di tipo asiatico-autoritario, cioè esattamente il contrario di una democrazia occidentale fondata sul primato del Parlamento: quel primato che oggi un nemico subdolo e invisibile tenta di vanificare e che invece va preservato con l’intelligenza di chi sa rimediare allo stato d’eccezione proprio con misure eccezionali.