Piacere di non conoscerti2020, odissea nell’anno mai realmente esistito

Il dramma del coronavirus ha impedito e impedirà ai 365 giorni di esistere, le mattine sono tutte uguali, niente cambia. Molte agende sono rimaste vuote, pochi gli appunti, silenzio tra le righe, non faremo nulla e nulla ci ricorderemo. Eccetto la malattia

2020, l’anno che in realtà mai ebbe davvero luogo. Potrà sembrare un paradosso, eppure si direbbe che le cose stiano andando esattamente così, nonostante le tribolazioni, le incombenze quotidiane di sempre; colpa di un virus, Covid-19 il suo nome, un incubo che ha cancellato la percezione abituale dell’esistente.

Era, forse, soltanto novembre dell’anno prima, il comunque polposo 2019, quando, come tutti gli anni, sono andato, abitudine appunto annuale, in torrefazione a ritirare il calendario in omaggio dell’imminente 2020. Anno tondo, 2020, di più, bisestile, ma questo dato, almeno ai miei occhi, da sempre, appare irrilevante, nessuna superstizione: no, non tengo la treccia d’aglio intorno al collo come l’esorcista interpretato magistralmente da Ciccio Ingrassia, l’Esorciccio.

Già che c’ero, mi sono anche procurato un’agenda, naturalmente anche questa in omaggio, copertina arancione, tenendola perfetta dentro la sua custodia di cartoncino sulla scrivania fino alla mezzanotte del 31 dicembre 2019.

L’ho tirata fuori, solo con l’inizio esatto dell’anno, colmo di attese, o forse, come il vecchio scettico narrato da Vitaliano Brancati in un racconto di Capodanno del nuovo secolo, ormai rassegnato all’incedere progressivo del tempo, sembra infatti ieri che ci barcamenavamo in ciò che lo storico chiama “il secolo breve”. Breve si fa per dire tra rivoluzioni e massacri e ordigni atomici.

Certo, fa impressione per un baby-boomer pensare che si sia arrivati a una cifra così avanzata, 2020, sembra sempre ieri quando mamma mi portò a vedere “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick, e quella data sembrava davvero lontana, a venire.

Bene, adesso come adesso siamo assai oltre. Dal 2020 mi aspettavo, ci aspettavamo, pretendevamo molte cose buone e giuste, o forse la semplice normalità, per dirla in termini di diritti essenziali di cittadinanza: case scuole ospedali vacanze…

Invece, così dal nulla, progressivamente, è affiorato un virus ignoto, dapprima riferito ai cinesi, gli stessi di cui lo scrittore Louis-Ferdinand Céline sosteneva che, insieme ai loro stuzzicadenti, avrebbero governato il mondo, e proprio questo virus ha fatto sì che il 2020 debba essere (o possa o verrà) ricordato come l’anno che mai realmente esistette, né mai mostrò se stesso a figura intera, il proprio scorrere abituale, come dire, giorni da tempo di pace e diporto.

Questo senza nulla togliere al dolore, ai lutti, alle morti, agli anziani asserragliati in fin di vita nei loro squallidi e infelici ospizi, e ancora ai telegiornali con i loro quotidiani racconti ospedalieri, al dramma del coronavirus. Perché è stato proprio quest’ultimo dato epidemico a impedire all’anno di esistere e noi con esso.

Per descrivere plasticamente la situazione data, molte agende, del tutto simili alla mia dalla copertina arancione o forse perfino planning, sono rimaste vuote, pochi gli appunti, silenzio tra le righe, potremmo dire con immagine letteraria, altro che diario boliviano del Che fitto fitto note o della nostra povera e innocente Anne Frank.

Anche l’anno scolastico dei ragazzi, il 2019-2020, con stupore degno di Marcovaldo, personaggio di Italo Calvino, esempio di candore in città con le sue stagioni, l’abbiano visto scorrere via dalla finestra, dai balconi, dai terrazzi condominiali; ogni tanto qualcuno si è affacciato a cantare, in altri momenti ad applaudire il sudore di medici e infermieri e portantini negli ospedali, lì nella linea di fuoco del virus. Già, le stagioni!

Anche la primavera l’abbiamo vista sbocciare lontana, insieme al suo azzurro del cielo, dalle finestre, quasi come in una canzone di Fabrizio De André come «Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato, per un fruscio di ragazze a un ballo…»

 Il 2020, nonostante il suo carico di ceneri non riusciremo a ricordarlo con esattezza, ci rimarranno impressi i nostri occhi incollati alle pareti delle case, talvolta così minuscole da farci sentire proscritti; i telegiornali con gli ospiti, fosse anche il ministro, collegati da remoto, ci hanno insegnato che non c’è bisogno di una definizione alta per restituire la parola, il mondo, il paesaggio, fosse anche lo sfondo domestico di una libreria.

Infine, da un certo momento in poi è sembrato che proprio lui, il fantasmatico, l’assente a se stesso, il 2020, ci salutasse con la mano per darci appuntamento direttamente al 2021, l’anno successivo, l’anno che verrà, nel desiderio che quest’altro possa avere luogo oltre che tempo. Peccato che si dubita perfino che le Olimpiadi di Tokio possano avere luogo il mattino dell’anno dopo.

Adesso qualcuno potrà obiettare: perdona, osa dovrebbe fare di preciso un anno per essere riconosciuto come realmente esistente? La risposta è semplice: consentire alle persone di mettere in pratica la progressione del dire fare baciare, incontrare gli amici, e così via. Non vorrete mica sostenere che quest’anno, anche dal punto di vista delle opportunità sentimentali, se non erotiche, abbia consegnato ai suoi “residenti” grandi  

Soddisfazioni? Giusto guardarsi da lontano, amori sfocati, amori via Skype, amori da remoto, che sembra quasi il titolo di un film, che so, da destinare agli Oscar.

Anche l’ordine dei giorni a un certo punto sembrò saltare, i martedì mattina sembrarono assomigliare a un sabato, la percezione tra feriale e festivo venne meno, le persone infatti, tra loro, si interrogavano su cosa sembrassero esattamente i giorni, «… sai, anche a me oggi, pure se è martedì, pare sabato!» E le domeniche simili a un altrettanto sabato infinito.

Ciao, 2020, che peccato esserci conosciuti appena.

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