La lettera di CalendaRinfacciare alla Germania i debiti di guerra è una protesta antitedesca

Le intenzioni dei firmatari sono buone e giuste, ma accusare «i tedeschi» di andare «al seguito di piccoli egoismi nazionali» è un errore, così come paragonare la situazione italiana di oggi a quella tedesca nel dopoguerra

(Alberto PIZZOLI / AFP)

Carlo Calenda e alcuni importanti amministratori comunali e regionali hanno scritto una lettera al quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung. La lettera è indirizzata «ai tedeschi» affinché essi «ricordino» (così ha spiegato l’on. Calenda) «come dovrebbe comportarsi un grande Paese durante un’emergenza». L’iniziativa è assunta a denuncia dell’apparente riluttanza della Germania a condividere la proposta, promanante da altri Stati membri, di emettere Eurobond per far fronte alla crisi. E qui non si vuol dir nulla sulle intenzioni, certamente buone, di chi ha pensato di sottoscrivere e inviare quella lettera, né dell’adeguatezza anticrisi dell’ipotizzato Eurobond.

Si vuol dir qualcosa, invece, degli argomenti adoperati da quel gruppo di autorevoli esponenti politici a sostegno della propria iniziativa di interlocuzione con «i tedeschi». Perché – lo osserviamo con tutto il rispetto dovuto – si tratta di argomenti quanto meno inappropriati e, soprattutto, idonei a suscitare presso i destinatari, cioè appunto «i tedeschi», sentimenti di giustificato disappunto.

Non si può (non si potrebbe, non si dovrebbe) scrivere, come han fatto Calenda e gli altri autori di quella lettera, che la Germania asseconda l’opposizione di uno Stato membro, l’Olanda, che starebbe «sottraendo da anni risorse fiscali da tutti i grandi paesi europei» in pregiudizio del welfare altrui e a danno dei cittadini più deboli. Non si dovrebbe, perché le determinazioni della Germania saranno pure criticabili: ma non diventano tali solo perché coincidono con quelle di un Paese, appunto l’Olanda, a sua volta magari responsabile di scelte discutibili ma con qualche diritto di non essere considerato uno Stato-canaglia solo perché appresta un sistema fiscale e previdenziale diverso dal nostro (che qualche magagna ce l’ha, e non per colpa della perfidia nordeuropea).

Contestare anche con durezza l’impostazione della Germania circa i modi per affrontare la crisi è perfettamente legittimo, lo ripetiamo: ma se la contestazione prende la forma di una lettera che rinfaccia «ai tedeschi» i debiti di guerra (e chi l’ha sottoscritta usa esattamente questo argomento), allora scende al rango di una lamentela non proprio leale. Salvo credere che «i tedeschi» debbano condividere una scelta che ritengono sbagliata giusto perché settant’anni fa alcuni Paesi (compreso l’ex alleato italiano, responsabile delle leggi razziali) «consentirono alla Germania di dimezzare il debito».

Accusare «i tedeschi», come si fa nella lettera di Calenda e degli altri, di andare «al seguito di piccoli egoismi nazionali» è sbagliato: non aiuta a comprendere le ragioni dei cittadini e dei vertici di quel Paese e non aiuta a spiegare quelle di una protesta che, per come è rivolta e se pure fosse fondata, essi avrebbero tutto il diritto di considerare ingiustamente e solamente antitedesca.

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