Ero ad Amsterdam con mia figlia di fronte al “Ramo di mandorlo in fiore” di Van Gogh. Ad un certo punto mi ha spiazzato: «Gli alberi sono proprio coraggiosi». Aveva ragione: gli alberi subiscono gli effetti della pioggia, del sole e del vento senza darsi per vinti.
Ancora di più in questo periodo di emergenza il servizio di sanità pubblica assomiglia proprio ad un grande albero che coraggiosamente difende tutti, dal quale dipende la nostra sicurezza e a cui dobbiamo un grande ringraziamento, in particolare all’operato eroico di medici ed infermieri.
Lo stress cui è sottoposto deve però essere anche l’occasione per individuare gli obiettivi di una nuova stagione della sanità pubblica, dato che negli ultimi anni poco di veramente innovativo è stato fatto per questo albero coraggioso.
Iniziamo col fare i conti con la realtà. In primo luogo, non stiamo invecchiando bene: in Cina gli over 65 sono meno dell’11% mentre noi siamo quasi al 23% e l’Hartford Aging Index, che identifica gli ambiti su cui valutare una società che invecchia con successo, ci colloca 14esimi su 18 Paesi analizzati.
In secondo luogo, abbiamo un problema con le risorse umane: stime credibili ci dicono che entro il 2030 mancheranno all’appello tra i 41.000 e i 105.000 operatori sanitari.
In terzo luogo, in sanità il mito della spesa pubblica fuori controllo va sfatato: la spesa sanitaria per abitante in Italia, infatti, è pari a 1.867€ contro i 2.627€ di UK, i 2.946€ della Francia e i 3.283€ della Germania. Negli ultimi anni abbiamo imparato a tenere sotto controllo i budget e questa è una ottima notizia per impostare un rilancio.
In un contesto simile, i decision maker dovrebbero impostare una strategia coraggiosa con un obiettivo prioritario: riqualificare le strutture di sanità pubblica in modo da poter recepire per tempo i flussi di innovazioni di prodotto e di processo che quotidianamente nel mondo trasformano i modelli di servizio. Provo a dare concretezza al concetto con alcuni esempi.
L’elasticità dei posti in terapia intensiva è oggi sotto tutti i riflettori. È un asset da sempre fondamentale per il management ospedaliero e lo sarà ancora di più con l’arrivo di trattamenti farmacologici di nuova generazione come i Car-T, medicinali che utilizzano cellule del sistema immunitario del paziente “addestrate” per riconoscere e combattere le masse tumorali. I rischi di rigetto di queste terapie possono essere gravi e necessitare rapidi trasferimenti tra ematologia oncologica e terapia intensiva.
Per rispondere velocemente alle emergenze dovrà essere riqualificata periodicamente la modalità di alert monitoring tra reparti, la logistica di trasferimento dei pazienti e la comunicazione informatica condivisa operatori-paziente prima, dopo e durante il ricovero.
La chirurgia robotica, oggi usata prevalentemente in urologia, è un’altra risorsa importante e sempre più richiesta da specialisti di chirurgia generale, ostetricia, ortopedia, otorinolaringoiatria.
Per condividere il robot e l’investimento tra i reparti (un Da Vinci costa circa 2,8 milioni di euro), ottimizzandone l’operatività 24/7, bisogna ridisegnare di continuo l’agenda planning delle sale operatorie ed in generale i processi di accettazione e trasferimento anche tra ospedali diversi.
L’intelligenza artificiale applicata alle cosiddette “omiche” (genomica, trascrittomica, epigenomica, proteomica) permetterà in un futuro non troppo lontano il big data management dei dati dei pazienti di un territorio, individuando sottoinsiemi rilevanti e letteralmente rivoluzionando le politiche sanitarie: dalla prevenzione alla gestione del drop out clinico, dalle sperimentazioni scientifiche all’informazione del medico curante.
Il futuro è tutto da scrivere, ma non è facile farlo. Questi tre esempi mostrano chiaramente che i paradigmi dell’innovazione sanitaria globale sono la velocità, l’eterogeneità e la tecnologia. “Il tempo ha un costo”, e in questo momento drammatico lo stiamo misurando in termini di vite umane.
Come affrontare questa complessità? Una prima risposta potrebbe essere quella di supportare i direttori delle DG Sanità regionali incardinando nelle loro strutture un’area ad hoc che si occupi di “Strategy & Innovation”. Dovrebbe essere guidata da un Chief Innovation Officer che abbia maturato esperienze manageriali o imprenditoriali ad alto livello tecnologico e che abbia indiscusse doti di team leading.
Tale area dovrebbe avere al proprio interno un team operativo dalle competenze eterogenee: ingegneria gestionale, ingegneria biomedica, farmacologia, informatica, economia, diritto amministrativo. Non meno di cinque persone e non più di dieci per favorire l’integrazione e la capacità decisionale.
Questa riformulazione organizzativa dovrebbe essere implementata inizialmente a livello di Istituzione e solo in seguito a livello di azienda sanitaria e dovrebbe essere la voce più ascoltata quando si deve decidere dove e su cosa investire.
È evidente che per dotarsi delle giuste competenze servono sistemi di reclutamento più aperti di quelli di quelli attualmente vigenti, ma forse oggi siamo più d’accordo di ieri sull’importanza strategica della sanità pubblica.
Allontanandoci da quel quadro, ho chiesto a mia figlia: «Erano belli i fiori, vero?». La sua risposta, semplice: «Quei fiori escono a primavera, vero?». Abbiamo bisogno di una nuova primavera per il nostro servizio sanitario. Una primavera in grado di far operare il buon vecchio Servizio Sanitario Nazionale al massimo delle sue capacità.
* Donato Scolozzi è Associate Partner KPMG HealthCare & Lifescience
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