Questa crisi sta facendo venire al pettine tutti i nodi e ci farà pagare, salatissima, la scarsa credibilità dei governi italiani. Da una parte l’incapacità di trattare in sede europea per il bene del sistema paese e non con l’obiettivo, propagandistico, di portare a casa risultati fittizi da vendere all’opinione pubblica. Dall’altra decenni di politiche dissennate che ci espongono a debolezza nei negoziati stessi. Risultati? Un disastro. Il caso degli aiuti di stato autorizzati dall’Unione Europea è un esempio lampante. I partiti populisti italiani da anni chiedono che l’assetto neo-liberista (così, erroneamente, lo chiamano loro) dell’Unione venga sovvertito, ad esempio per quanto riguarda la competizione interna.
Le regole del mercato unico hanno creato un campo di gioco in cui tutti competono in maniera equa. In cambio della partecipazione a questa area di libero scambio gli stati si sono impegnati a non manipolare il mercato stesso, aiutando indebitamente le aziende locali e garantendo loro un vantaggio competitivo immeritato.
Proprio quello che contestiamo alla Cina quando parliamo di dumping, cioè di sussidi alle aziende cinesi da parte del governo della Repubblica Popolare per essere più forti in Europa e competere scorrettamente. Gli esponenti di Lega, Fratelli d’Italia e Movimento Cinque Stelle ci dicono da anni che le regole in Europa avvantaggiano i più forti. È vero esattamente il contrario. E lo stiamo scoprendo ora, quando queste regole sono state sospese.
La crisi sta mettendo in seria difficoltà le imprese, causando problemi di liquidità e insolvenza. Bisogna aiutarle direttamente e indirettamente, poiché se dovessero chiudere (peraltro senza colpe) perderemmo la loro capacità produttiva e avremmo un prodotto interno lordo più basso in maniera permanente. Sulla scia di questa necessità, la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager e la Commissione tutta si sono affrettate a sospendere le regole sugli aiuti di Stato.
Grazie a questo è stato consentito agli Stati di offrire garanzie sui prestiti al 100 per cento fino a un massimo di 800mila euro (ma l’Italia, per sue ristrettezze si è potuta limitare a farlo fino a 25 mila euro). Sulla scia dello stesso principio la Germania salverà Lufthansa e sta garantendo erogazioni a fondo perduto. E molto altro ancora vedremo.
Intendiamoci, va benissimo. E non perché la “dottrina economica” sta comprendendo un errore ideologico, ma perché la situazione è eccezionale e nessuna regola è buona per tutte le stagioni. Ma il rischio che questa sospensione della norma sugli aiuti di Stato sia iniqua e destabilizzi definitivamente il mercato unico è grande.
Al momento c’è una trattativa in corso per capire quale soglia massima scegliere per l’obbligo di notifica e autorizzazione di aiuti di Stato da parte dell’Unione. La proposta della Commissione è 100 milioni. La Germania è partita da 5 miliardi, ora scesa a 3.
Il problema politico ed economico si nasconde dietro la motivazione della richiesta di innalzamento. Gli stati del nord hanno spazio fiscale (poco debito) per investire nelle proprie aziende. E probabilmente stanno pensando di rifare il look alla loro industria (quindi ben oltre il sussidio anti-crisi), sfruttando il momento per garantirsi altri decenni di vantaggio tecnologico.
Certo, se la regola cambia, cambia per tutti. Ma è una parità solo formale, perché la differenza sostanziale è che noi italiani non abbiamo margini di spesa pubblica per permetterci, ad esempio, di garantire a Volkswagen soldi o sussidi per velocizzare la transizione all’elettrico. Il rischio enorme è che, alla fine del processo, le regole allentate torneranno ad essere stringenti e nel mentre avranno solo reso più forti i paesi già forti.
A parziale dimostrazione possiamo portare i dati dei programmi di aiuto finora autorizzati dalla Unione europea. La Germania ha avuto autorizzati interventi per 930 miliardi su un totale di 1800. L’Italia 200. Sono calcoli spuri, che mettono insieme garanzie e interventi reali (e forse sottostimano la distanza tra i due paesi). Anche mettendo in conto che il PIL della Germania è quasi due volte quello Italiano possiamo notare che i piani tedeschi sono come minimo il doppio di quelli italiani.
Su questo, l’Italia è stata miope. Primo, perché siamo stati noi a perorare meno regole, credendo che servissero a proteggere i paesi più forti quando è l’esatto contrario. Secondo, perché abbiamo acconsentito subito, anzi richiesto, la sospensione della normativa sugli aiuti di Stato.
Abbiamo un governo impreparato e incapace di avere una visione organica, anche nelle trattative: Conte avrebbe potuto condizionare fin da subito la nuova disciplina permissiva sugli aiuti di stato a un accordo più complessivo sugli strumenti di intervento anti-crisi; il famoso veto andava evocato e minacciato così, non a valle di decisioni già assunte e solo per i titoloni della stampa italiana. Terzo, perché abbiamo finanze pubbliche così traballanti. Chi è debole e costretto a elemosinare, perde.
Appelliamoci dunque alla lungimiranza e lucidità di Emmanuel Macron, che ha fortemente e coraggiosamente sollevato il tema in una recente intervista al Financial Times: o competiamo equamente (e le regole sono uguali in maniera sostanziale e non formale) e responsabilmente (e l’Italia non è stata responsabile, ricordiamolo) o l’Europa del mercato unico è aperto rischia di soccombere.