Italiani all’estero Storia di Elettra, sound designer e panificatrice domestica a Lipsia

Arrivata in Germania 8 anni fa, Elettra Bargiacchi è una sound designer e progetta suoni per spettacoli e podcast. Vive il lockdown con la nostalgia dei nostri sapori, difficili da replicare

Elettra Bargiacchi

Sound designer, Elettra è un’artista che ha scelto la Germania per avere più opportunità lavorative. Oggi vive il lockdown come un’italiana: ma senza il conforto dei sapori della sua terra, che cerca di ricreare con le materie prime che ha a disposizione.  

Raccontaci la tua storia

«Sono in Germania da otto anni: sono venuta un po’ per avventura, ma soprattutto perché a Milano non ero contenta. Lavoravo tanto, guadagnavo poco, spendevo tutto quello che guadagnavo per affitto e sopravvivenza. Puntavo a Berlino, la città degli artisti, ma non è stato come immaginavo. Mi sono spostata e sono arriva a Lipsia per caso: ho conosciuto il mio attuale compagno e non ci siamo più spostati. Anche lui è italiano: pensa che abitavamo vicini, a Milano, ma ci siamo conosciuti qui.»

Fai un lavoro decisamente inconsueto…

«Progetto suoni per spettacoli e podcast per compagnie americane. Lavoro con una storyteller: in Germania è una professione vera (sorride, ndr). Qui ho il mio studio, lavoro molto a distanza. Ma giro anche molto, ho molti spettacoli. E poi insegno chitarra.»

Che cosa ti manca di più dell’Italia, gastronomicamente parlando?

«La varietà di molti prodotti: quando torno riscopro l’esistenza di verdure di cui non ricordavo l’esistenza. Mi mancano i sapori autentici dei vegetali: qui è tutto di serra, hai sì un po’ di tutto ma le cose più rare hanno prezzi proibitivi. E poi il grana, che in italia è un must, noi qui lo razioniamo. Solo quando prepariamo una pasta davvero speciale ci concediamo il lusso della grattugiata. Alla fine procurarsi i prodotti buoni è sempre un po’ una caccia: l’olio lo importiamo, perché qui è mediocre e costa tanto. Alla fine qui c’è una qualità diversa a quella a cui siamo abituati.»

Che cosa cucini, di solito?

«Mi piace abbastanza cucinare, mi invento ricette con quello che abbiamo. Tutte le ricette tradizionali fatte qui vanno rimodellate con quello che c’è a disposizione. Ogni tanto sperimento ricette tedesche per aprire un po’ la mente: alla fine faccio “varianti sulla patata”, che è il cibo base. E poi faccio esperimenti sulla cucina orientale, perché il mio compagno viaggiava molto prima del virus e portava prodotti misteriosi da Cina e Thailandia che diventavano ingredienti con cui creare. Ho anche provato a fare il sushi, va beh… è più un ricordo del sushi e mi riporta agli anni milanesi.»

Hai scoperto qualche ingrediente qui che in Italia non usavi?

«Lo zenzero qui è un must un po’ per le tisane e il tè, di cui c’è una cultura fortissima. Io ormai lo aggiungo anche nelle insalate: non è niente di speciale ma in Italia non l’avevo mai preso in considerazione.»

Come fate la spesa, normalmente?

«Viviamo in periferia, e qui abbiamo un piccolo super di fronte a casa. Più raramente andiamo alla Metro, dove puoi trovare anche il pesce, che altrove proprio non esiste. Al mercato è possibile trovare verdure, siamo affezionati acquirenti di un fruttivendolo che ha prodotti molto buoni, ovviamente è un italiano. Ma se vuoi comprare cosa buone ti devi spostare. Se no ordiniamo dall’Italia olio, riso, farina, vino, spesso con un gruppo di acquisto con gli amici. E poi, un grande classico: quando vengono a trovarci i nostri familiari le valige sono sempre cariche di tutto quello che poteva starci, in primis formaggi e salumi. Per quello dovremo aspettare un po’, adesso.»

Che cos’è cambiato con il lockdown?

«Siamo sempre stati da grossa spesa: non andiamo al supermercato troppo di frequente. Con la paura di questo periodo abbiamo limitato ancora di più le uscite nei luoghi chiusi. Ci siamo muniti di un freezer extra e abbiamo fatto una scorta di verdure surgelate: qui è tutto di importazione ci sono un po’ di incognite sul fronte vegetale, non volevo rischiare di rimanere senza.

Quando andiamo a fare la spesa più o meno c’è tutto, ma sulla verdura c’è ancora meno scelta di prima. Il lievito è sparito anche qui e quindi abbiamo iniziato a fare la pasta madre. Mi sono accorta che sul fresco la scelta è molto più limitata. L’altro giorno cercavamo la carne bio e non c’è quasi più niente. Ho notato anche che si trovano sempre meno prodotti confezionati tipo pasta sfoglia e anche i prodotti secchi.»

E come sono cambiate le tue abitudini?

«Qui c’è più libertà di movimento rispetto all’Italia ma non vogliamo andare nei posti dove vanno tante persone. E poi da quando è iniziato sto facendo il pane tutti i giorni. Saranno le paure arcaiche, forse vuoi essere sicuro di avere almeno le basi. Ogni tanto lo preparavo, ma adesso è una cosa che non deve mai mancare. Spero che questa voglia mi rimanga anche dopo.

Abbiamo anche fatto una bella scorta di alcolici: è stata una scelta importante, in modo da essere sicuri che qualunque chiusura ci si prospetti, ci sia almeno il nostro bicchierino della felicità. Poi ho notato che c’è molto più scambio di quello che tutti cucinano: c’è come uno “sbandieramento” della quotidianità. Mi aveva sempre dato fastidio, ma adesso lo trovo rassicurante, è un po’ un modo di rimanere più in contatto con il resto del mondo. È un ponte di comunicazione.»

Come vedi il futuro?

«Desideri basici. Al momento voglio trovare i semini per l’autoproduzione per i momenti bui: stiamo lavorando all’orto. E poi vorrei iniziare a far più spesso i biscotti. Alla fine si lavora meno, tutti i concerti sono saltati: vedremo.»

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