Sacra coronavirusEcco come la criminalità organizzata sta sfruttando l’emergenza

Aiuta le piccole medie imprese in difficoltà economiche, si mimetizza tra i volontari che portano la spesa alle famiglie indigenti. Il potere delle mafie sul territorio nazionale non è affatto calato, piuttosto ha saputo reinventarsi

L’emergenza coronavirus, oltre all’impatto sanitario devastante, sta moltiplicando i livelli di povertà. Sopratutto nelle grandi città, a sfruttare questa situazione delicata sono i clan e le cosche criminali. Famiglie in difficoltà economiche ma anche piccole medie imprese ridotte sul lastrico sono i principali bersagli delle reti mafiose. L’allarme è stato lanciato anche da molti magistrati autorevoli, preoccupati di come «l’economia legale rischi di essere infettata ancora di più dalle mafie».

Oltre alle apprensioni e alle supposizioni di eventuali ingerenze future, sul territorio italiano, senza coppola e lupara, i primi mandatari cominciano già a muoversi. A Marsala, in uno dei quartieri popolari, le famiglie che al momento vivono in stato di completa indigenza sono circa una trentina, di cui più della metà sono composte da una prole numerosa.

L’urgenza di portare del cibo sulle tavole e di riuscire a guadagnare il minimo indispensabile li ha resi oggetto di interesse per le teste di legno delle vare famiglie mafiose, pronti a offrire un supporto immediato, con la consegna di beni essenziali, e dilazionato nel tempo, con concessioni di denaro.

I modi di infiltrazione nella società passano dal semplice bussare alle porte, fino al mimetizzarsi nelle numerose manifestazioni di solidarietà promosse dalla parrocchie in questi giorni. «I segnali in tutto il paese sono inquietanti. Le mafie, come di norma in situazioni dove lo Stato è costretto a immettere grosse somme di denaro, trovano il modo di aumentare il loro potere, non solo economico ma anche contrattuale», descrive Luigi Cuomo, presidente nazionale di Sos Impresa, l’associazione impegnata nella lotta al racket e alla criminalità organizzata.

«Il mafioso che porta a casa la spesa, con dei beni alimentari che molte volte sono sottratti illegalmente da altri canali, sfrutta l’occasione anche per offrire un sostegno monetario. Possono essere 100, 200 o 500 euro. Quello che chiede, ovviamente, è un ritorno al termine dell’emergenza sanitaria, che può essere economico o elettorale, con un voto di scambio nelle prossime elezioni».

Le testimonianze di alcune famiglie, tenute in anonimato da Linkiesta per motivi di sicurezza, parlano inoltre di un identikit ben preciso al quale il mandatario risponde. Non si tratta del mafioso vecchio stile, bensì di un business man esperto di mercato quando tratta con le imprese e di un “galoppino” – che fino a pochi giorni prima si occupava di ritirare il pizzo o del traffico di stupefacenti magari nella stessa zona della città – quando invece c’è da fare il lavoro sporco (consegne, assistenza e via dicendo).

«Le cose sono cambiate: al momento non c’è più nel mafioso il riferimento con il quale si riconosce l’appartenenza a una famiglia», spiega Salvatore Inguì, coordinatore responsabile di Libera. «La figura in campo oggi è quella di un benefattore, per alcuni ancora riconoscibile, che si muove in maniera meno esplicita. Inoltre, se prima la mafia ti chiedeva soldi, adesso ricopre il ruolo di finanziatore. Bussa alla porta, ti presta denaro o ti offre un lavoro, interpretando in questa emergenza il ruolo del salvatore».

Nel trapanese il nome più bisbigliato rimane comunque quello di Matteo Messina Denaro. La presenza di numerose imprese edili fanno della zona un teatro perfetto, accentuato dal momento storico, dove poter acquisire società o semplicemente garantirsi la partecipazione in molte attività commerciali.

Meno di un mese fa, infatti, sono stati sequestrati dalla Dia sei milioni di beni a Nicolò Clemente, un imprenditore di Castelvetrano, in provincia di Trapani, ritenuto vicino al boss latitante. L’imprenditore era già stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa, con una motivazione su tutte che lo vedeva «in grado di infiltrarsi nel tessuto economico della zona».

Spostandoci nel palermitano, invece, la questione assume caratteri di natura commerciale. «Nel corso dell’emergenza sanitaria, a muoversi verso imprese e aziende sono i professionisti: l’avvocato, il commercialista, il notaio della famiglia mafiosa», aggiunge Fausto Amato, avvocato di Sos Impresa.

«Abbiamo perfino segnalazioni di incroci territoriali: ovvero di persone che si spostano da una zona all’altra della regione per investire o acquistare le attività che al momento soffrono di più. Il tutto ovviamente a prezzi stracciati». L’iter è più o meno sempre lo stesso: il mandatario si prende in carico tutti gli oneri dell’azienda – personale, mutuo, debiti e affitto – e in cambio subentra o diventa azionista della società.

Le cosche, che hanno grande disponibilità di liquidità anche grazie al traffico di stupefacenti (come dimostra la mezza tonnellata di cocaina trovata pochi giorni fa in un capannone e sotto un terreno appartenenti a Rocco Molè, figlio del boss di Gioia Tauro), sono pronte quindi a beneficiare anche della fase successiva: la ricostruzione. E nel farlo non si pongono limiti territoriali.

Il rischio, come confermano i vertici di Sos Impresa, coinvolge circa l’80 per cento delle piccole medie imprese presenti sul territorio nazionale. Inoltre, quasi 8mila soci, azionisti o amministratori di 9.200 aziende del Centro-Nord, secondo Bankitalia, sono legati da vincoli familiari a clan ’ndranghetisti e sono probabilmente affiliati alla ’ndrangheta. «Oggi le mafie sono presenti più che mai nel fornire servizi e garanzie. E nel reclutare un esercito di manodopera di riserva, sopratutto al Nord», commenta Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale di Libera.

«Circa due milioni di piccole medie imprese sono a rischio infiltrazioni. La penetrazione al Nord di clan come quello Arena, tra i più potenti al mondo, fa capire come le mafie siano capaci di adattarsi, riciclarsi e farsi trovare pronte a ogni tipo di situazione».

Quando non si tratta di sostegno finanziario, o non esclusivamente di questo, le organizzazione criminali forniscono anche servizi di recruiting. Secondo Salvo Caradonna, tra i fondatori del movimento antimafia Addiopizzo, a Palermo il rischio, emerso da segnalazioni e testimonianze raccolte, è quello di un reclutamento dei meno abbienti in plotoni che saranno poi impiegati nei settori più prolifici, come quello del traffico di droga. «Le principali denunce ci arrivano da artigiani, imprenditori e proprietari di aziende dalle dimensioni modeste. Disperati e pronti a tutto, il che è un problema molto serio» conclude Cuomo.

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