DivarioLe disuguaglianze tra regioni europee sono diminuite, in Italia no

Il potere d’acquisto, l’occupazione femminile e maschile, il prodotto interno lordo pro capite. Il nostro Paese è diviso in due e la forbice aumenta sempre di più

Mentre nel resto d’Europa la differenza tra regioni diminuisce sempre più, l’Italia rimane immobile nella sua disuguaglianza interna. Basta guardare al potere d’acquisto: in Calabria è al 56 per cento, in piena media europea, invece nella provincia di Bolzano triplica al 156 per cento. In Spagna, il Paese per molti aspetti economicamente più simile al nostro, la regione più povera, l’Estremadura, è comunque più ricca di Sicilia, Campania, Calabria, Puglia. Mentre la regione più ricca spagnola, la Comunità di Madrid ha un Pil più basso di Lombardia, Valle d’Aosta, provincia di Trento e di Bolzano.

In Francia la regione di Parigi spicca come eccezione in un panorama che in realtà vede le diverse regioni avere un potere d’acquisto piuttosto omogeneo, e persino la Germania, che ha vissuto l’integrazione dell’Est, presenta distanze in proporzione minori tra le aree più povere dell’ex DDR, comunque più benestanti di tutto il Sud, e quelle più ricche dell’Ovest. In nessun caso una regione ha un potere d’acquisto che è solo un terzo di quello di un’altra, come avviene da noi.

Dal 2000 in Italia il potere d’acquisto è calato in modo uniforme in proporzione alla media europea con alcune sfumature: leggermente accentuata al Centro Sud e meno forte in Lombardia e Trentino Alto Adige. Questo ha provato un aumento del divario nel pil pro capite delle nostre regioni italiane.

Invece in Spagna la forbice è diminuita. L’Estremadura e la Galizia, una volta tra le aree più povere hanno avuto un andamento positivo in controtendenza rispetto a Madrid o alla Catalogna, mentre in Germania proprio l’Est più povero è quello che se l’è cavata meglio, rispetto alle aree più ricche.

Stesso discorso per il lavoro. In Italia non solo le differenze a livello regionale sono rimaste quasi inalterate nel tempo, ma i divari si sono rivelati più ampi nel caso dei giovani, dei 25-34enni, di quella generazione che fatica per costruirsi una carriera. In generale il tasso di occupazione minimo oscilla tra il 41,5 per cento in Campania e il 74,1 per cento a Bolzano, tra i giovani il gap aumenta: dal 40,3 per cento della Sicilia, all’81,5 per cento in alto Adige. Il divario è rimasto sempre sopra i 40 punti.

Mentre in Spagna per i 25-24enni il divario è dimunito: dal 26 per cento nel 2000 al 18 per cento nel 2019. Se prendiamo la forza lavoro in generale anche meglio: gli spagnoli sono passati dal 20 per cento al 14 per cento, mentre in Italia il dato è cresciuto 27 per cento al 33 per cento. E così come in Spagna anche in Francia e Germania le differenze tra la percentuale di persone con un lavoro nelle diverse regioni si sono assottigliate o non sono aumentate, a ogni età

Quando si parla di lavoro e di disuguaglianze non si possono ignorare le questioni di genere. C’è un divario maggiore proprio nei tassi di occupazione regionali femminili che in quelli maschili. Si va da un pessimo 29,7 per cento in Campania, nel caso delle donne, al 67,9 per cento in Alto Adige, mentre tra gli uomini si varia tra il 52,6 per cento in Sicilia all’80,1 per cento a Bolzano.

Le distanze regionali nell’occupazione femminile, già più alte, sono cresciute solo in Italia da 34 a 38 punti, mentre in Germania diminuivano dal 13 per cento al 10,5 per cento circa, risultando non molto diverse da quelle nell’occupazione maschile.

In Francia e in Spagna idem, si è passati da divari superiori vicini o superiori ai 25 punti a quelli sotto i 20 nel caso delle donne, e ci si è avvicinati a quelli, già più ridotti che da noi, presenti in quello degli uomini.

Uno degli strumenti per combattere le disuguaglianze è l’istruzione, si sa, ma qui le brutte notizie non vengono solo dall’Italia. Anche in Germania come nel nostro Paese e in altri ci si laurea di più, tra i giovani, nelle regioni già più ricche, e negli anni vi sono stati dei miglioramenti quasi solo in queste aree. Come se in effetti ci fosse un circolo virtuoso, per cui le aree più produttive e moderne attirano competenze, circolo che diventa vizioso nel caso delle aree più marginali.

Evidentemente a ridurre i divari nel resto d’Europa contribuisce anche altro, come un welfare efficiente, che nel caso dell’Italia invece è il vero assente, una forma di redistribuzione non assistenziale che produce infatti una crescita più alta delle regioni più povere, così come dovrebbe essere.

La pandemia di coronavirus porterà a tante conseguenze, politiche ed economiche, molte delle quali sono ancora poco preventivabili, ma la storia recente ci insegna che le crisi non cancellano ma accentuano le disuguaglianze. Dobbiamo sperare che non sia così anche questa volta.

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