GastroExpatIl Qatar è un deserto con una città in mezzo e senza carbonara

Nel Paese dove esistono solo due stagioni - estate e inferno - gli italiani che stanno cercando di superare il lockdown ci raccontano la loro esperienza in un luogo dove maiale e alcol sono fuori legge e per comprarli devi andare fuori città, ed avere il permesso del tuo datore di lavoro

Gli italiani all’estero si cercano, si incontrano e costruiscono una famiglia provvisoria che spesso nutre un affetto più forte e sincero di tanti ‘congiunti’ che abitano nel nostro Paese. È il caso di questi tre affetti per forza, scopertisi amici davvero e uniti nel segno della cucina, che come abbiamo colto nelle nostre puntate precedenti, si sentono un po’ meno soli proprio condividendo i piatti d’origine. E se in Inghilterra e in Germania le cose non vanno benissimo, come ci hanno raccontato Francesca ed Elettra, in Qatar – se possibile – l’approvvigionamento va anche peggio, soprattutto durante il Ramadan.

«Qui il maiale non si trova da nessuna parte, essendo un paese musulmano. Per averlo andiamo in un piccolo negozio fuori città, l’unico autorizzato a venderlo, dove troviamo anche l’alcol, che è un’altra cosa bandita. Per poter comprare devi essere registrato e il tuo datore di lavoro deve darti il premesso.» A raccontarci di questa modalità alternativa di fare la spesa è Chiara Cugno, pediatra, a Doha dal 2014. «Quando sono partita sentivo che era un’esperienza da fare: ero medico a Pavia, avevo un posto fisso, sono partita in aspettativa per un anno perché c’era questa opportunità. Una ricerca sui trapianti di midollo. Alla fine sono rimasta: qui avevo la possibilità di fare una cosa che in italia non si riusciva a fare, potevo fare ricerca e attività clinica, per me era un avanzamento di carriera. Certo, sul fronte gastronomico è problematico: a una siciliana come me non è che vada bene tutto quello che si trova!»

Le fa eco Mauro Giudicianni, casertano, da 7 anni in Qatar come CFO di Siemens: «Lavorativamente qui hai due vantaggi: ti permettono di fare cose che in europa e in italia non puoi fare, la sfida qui è molto più interessante. Gli altri sono più politicamente corretti di me e non te lo diranno, ma qui il 25 del mese è il giorno più bello: non hai soci occulti, la tassazione è lo zero per cento. Se hai una buona assicurazione qui vivi bene. In questi anni ho trovato tanti amici, ci divertiamo tanto. Certo, mi mancano i miei familiari ma all’estero hai più facilità a fare amicizia, e sono più profonde di quelle che hai in italia, costruisci rapporti veri che continuano. Qui con Chiara e con Gianvito troviamo tante cose da fare: il cineforum, la cucina, ci facciamo compagnia in tanti modi.»

Durante la lunga call i tre si scambiano ricette, e ci mostrano orgogliosi i loro trofei gastronomici, conquistati a suon di quattrini e di viaggi clandestini.

«Di solito porto tutto dalla Sicilia – prosegue Chiara –  arrivo con i salumi, i formaggi la salsiccia fatta dalla mamma. Ma adesso abbiamo appena finito le scorte. Alla fine qui troviamo i tortellini Rana, i pelati Mutti, la pasta Barilla. Non c’è tantissimo e costa tutto parecchio. Da quando c’è stato il lockdown per noi non è cambiato molto: l’unica cosa davvero diversa è che cucino di più a casa. Prima un paio di volte alla settimana si mangiava fuori, andavamo al pub o al giapponese. Adesso siamo costretti a cenare a casa tutte le sere e siamo diventati dei gran panificatori. Abbiamo anche il lievito madre e lo usiamo spessissimo. Il vero problema sono le verdure fresche e la frutta, che vengono importate e quelle di stagione sono tutte congelate. È molto difficile trovarne che siano buone. Fino al 2016 non coltivavano nulla, ma da quando c’è l’embargo dai paesi vicini e dall’Arabia Saudita non arriva più nulla, hanno iniziato a coltivare anche qui. Ma la scelta è molto limitata.»

Per Gianvito Ruggieri, il meno gourmet del gruppo e il nuovo arrivato, che è qui da solo un anno dopo 3 anni a Monaco, e con la famiglia rimasta in Italia, le cene hanno cambiato faccia: «Alla fine qui sono un single, e fino a prima del lockdown mangiavo fuori tutte le sere. Adesso sono regredito a bastoncini findus e ravioli di gamberi, mangio più che altro cose pronte prese al supermercato. A  Doha ha chiuso un po’ tutto, abbiamo il take away in settimana (che va dalla domenica al giovedì) mentre il venerdì e sabato è proibito e c’è solo il delivery. Con il Ramadan peggiora tutto ulteriormente: non trovi nulla da mangiare fino alle 18.30 quando inizia la preghiera del pomeriggio. Non si può mangiare in pubblico, quindi sto usando ancora di più i servizi che qui ci sono. Anche se ormai devi scendere dalle torri dove viviamo per recuperare il cibo, perché i rider non salgono più. Però mi sento sicuro: l’impressione è qui ci sia stato un approccio attento e bilanciato e quindi la situazione sembra che sia sotto controllo: il tracciamento sembra funzionare. Questa è nata come una crisi medica ma è già evoluta in una crisi economica e diventerà una crisi finanziaria.

Anche Chiara è fiduciosa sull’emergenza, dal suo punto di vista privilegiato all’interno di uno degli ospedali più importanti del Paese: «La gestione qui, per quanto ne sappiamo noi, è abbastanza sotto controllo: ci sono tanti casi ma pochissimi deceduti. La popolazione è molto giovane, ci sono più di un milione di lavoratori che lavorano in condizioni pessime. Nel mio ospedale fanno tracking dei contatti e si stanno muovendo in maniera adeguata, non sono particolarmente preoccupata per la situazione locale. La psicosi ha preso un po’ tutti: quando è scoppiata in italia non riuscivo a staccarmi dal telefonino, adesso la situazione è un po’ cambiata. Siamo consapevoli dei rischi e delle terapie, sappiamo quello che ci dobbiamo aspettare.  Era più l’incertezza che mi spaventava.  Se la situazione la puoi gestire facendo il tracciamento, puoi anche tenere una parvenza di normalità senza bloccare tutto. Almeno questa è la lezione che abbiamo imparato dall’Italia e dall’Europa: contenere i focolai e tracciare i contatti.»

Ma che cosa manca di più ai nostri compatrioti in Qatar? Gianvito è decisissimo nella risposta: «Certo, sono all’inizio della mia avventura qui, penso che alla lunga la cultura europea sarà la cosa che mi mancherà. Ma di sicuro mi manca di più il bacon nell’hamburger, per ora.»

A Mauro invece mancava la pastiera e alla fine si è ridotto a farla con il mais in lattina. «Mia nonna e mia zia non mi lasciano mai fare la pastiera, in Italia. E siccome a Pasqua non sono riuscito a raggiungerle, abbiamo provato a farla qui. Il grano nemmeno a parlarne, qui non si trova. Abbiamo usato il mais. Alla fine ci assomigliava, non è venuta male. È chiaro che qui non puoi fare altro che adattarti a contaminare, se no non mangi niente. Da quando ho scoperto un posto dove fanno agricoltura biologica in Qatar dall’Olanda almeno dal punto di vista vegetale le cose vanno un po’ meglio. L’unica cosa che proprio qui non riesco a fare è la carbonara: non mi è mai riuscita bene! Ma da quando sono diventato amico dello chef Alessandro, napoletano che ha un ristorante vicino al mio ufficio, mi è cambiata la vita. In realtà mi piace cucinare: quando sono arrivato qui, su 30 mq di container, la metà erano accessori di cucina: mangiare è fondamentale. Ma lui è talmente bravo che ero diventato pigrissimo. Da quando hanno chiuso i ristoranti ogni tanto gli chiedo qualche favore, e quelle sere è festa.» Anche senza carbonara.

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