Era venuto per fare il musicista, ha capito che aveva i numeri per il cabaret ed è diventato famoso come insegnante, scrivendo libri e aprendo scuole in mezza Italia. A John Peter Sloan, morto il 26 maggio a 51 anni, va riconosciuto il merito di aver tentato l’impresa più difficile di tutte: far imparare l’inglese agli italiani.
Per un popolo renitente alla fonetica anglosassone, che canta(va) i Beatles usando “na na na”, viziato da un sistema mediatico-didattico che lo ha abituato a dire “Colgàte”, “Bàrberry” e “buuling” per dire “bowling”, era una mission impossible. Nemmeno le nuove piattaforme, da Netflix in giù, hanno fatto la differenza.
Ma Sloan, nato a Birmingham da padre irlandese e madre irlandese, studente svogliato e amante della musica più che della scuola, sa per esperienza che per contrastare una non-istruzione serve soltanto un non-metodo. E lo inventa lui.
Niente grammatica, o meglio pochissima. Sfrutta il suo mestiere di attore comico (con cui aveva già inventato, per Zelig, spettacoli sulle differenze tra Italia e Regno Unito), aggiunge sano pragmatismo britannico e costruisce una serie di lezioni semplici, quasi in pillole, per colmare l’abisso più grande: quello della pronuncia. «Devo ancora trovare un italiano che sappia dire “orange” in modo corretto», scherzava, ma mica tanto.
Le sue sono poche indicazioni, ma buone: fanno sì che gli inglesi non si mettano a ridere, e gli italiani non si impermalosiscano. Un vero ponte tra culture. E per chi è cresciuto a lezioni tenute da insegnanti italiani/e, con accento italiano, più innamorate di Shakespeare che del modo giusto di esprimersi, è stata quasi un’epifania.
E così, da buon inglese, una volta collaudato il sistema ne fa un business. Lezioni, corsi, perfino scuole, l’ultima ad Agrigento, dove era andato a vivere i suoi ultimi anni. Strutture pensate sia per i bambini che per gli adulti e – questa è la soluzione – anche gli insegnanti. Triste verità: l’inglese non lo si smette mai di imparare – e vale anche per chi ama scagliare pietre contro le prestazioni di Rutelli, Berlusconi e Renzi.
Sloan era, insomma, l’ultima ondata di britishness che ha raggiunto l’Italia prima della Brexit. Più popolare che pop, casalingo e non salottiero, è arrivato negli ultimi anni della Cool Britannia di Tony Blair, cioè dopo la fine del rock and roll, al termine del brit-pop, decenni dopo il TINA di Margaret Thatcher.
Incarnava, più che l’ideale dello stiff upper lip da ammiraglio senza paura o del bravo cittadino che rispetta la coda come una religione, il lato scanzonato e caciarone che subentra in tutti i pub del Regno dopo le sei. Del resto ne aveva aperto anche uno a Milano, in piazza Cadorna, prima che finisse a carte bollate. Molto italiano, ma lo aveva detto: «Lo sto diventando sempre di più». Prima del ritiro in Sicilia.