L’indagineLo smart working forzato va regolato con i contratti, dice la Cgil

Il sindacato ha sottoposto un questionario a oltre 6.100 lavoratori agili in quarantena. Il segretario Maurizio Landini: «La scelta di lavorare da remoto deve restare volontaria. Usiamo i contratti nazionali e aziendali per organizzare questa nuova dimensione»

(Photo by Miguel MEDINA / AFP)

Poco smart e tanto home working. Il lavoro a distanza a cui la pandemia ci ha costretti è stato quasi completamente solo lavoro da casa. L’82% degli 8 milioni di italiani attualmente in smart working è stato costretto a lavorare da casa. Tra loro, solo il 31% avrebbe voluto farlo prima. Ma il 60%, soprattutto tra gli uomini, vorrebbe continuare a lavorare da remoto anche dopo l’emergenza. Meno le donne, molte delle quali in questi mesi hanno dovuto condividere pc e smartphone con i figli, facendo fatica a conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia.

Lo dice un’indagine realizzata dalla Cgil, con la Fondazione Di Vittorio, tra oltre 6.100 lavoratori smart al tempo del Covid. La prima sul lavoro agile realizzata dal sindacato. Che ora, come spiega il segretario Maurizio Landini, punta a «utilizzare gli strumenti della contrattazione collettiva e aziendale per organizzare queste modalità di lavoro, intrecciando sempre le due dimensioni, in presenza e a distanza».

Ma, aggiunge, tenendo presente la scelta volontaria di lavorare da remoto. «C’è la necessità di togliere la unilateralità della possibilità di dire “lavori da casa”», dice Landini. Altrimenti il rischio è che, dopo il part time involontario, si diffonda lo “smart working involontario”, con stipendi e condizioni peggiori. Soprattutto tra le donne.

In questo periodo, più che una scelta pensata o organizzata lo smart working è stato un’urgenza. Prima dell’emergenza Covid, in Italia, lavoravano da remoto circa 500mila persone. Nelle settimane di lockdown, siamo arrivati a più di 8 milioni.

Ma il bilancio del lavoro a distanza forzato, in cui sono precipitate aziende e lavoratori, più o meno preparati, è diverso tra uomini e donne. Gli uomini sono mediamente più soddisfatti, le donne molto meno. Tra le lavoratrici, aumenta la percentuale di chi lo considera più stressante e complicato. E il 40%, soprattutto donne, dice di aver avuto poco o per niente tempo libero.

Alla fine, dalle risposte a 53 domande, sono emersi quattro profili di lavoratori agili da quarantena. Quelli attrezzati, con titolo di studio alto, soprattutto giovani, che hanno visto aumentare i carichi di lavoro. Quelli che lo desideravano già da prima, soprattutto uomini, che sono riusciti a ricavare maggiore tempo libero grazie all’assenza di spostamenti.

Poi ci sono gli improvvisati, soprattutto donne, poco attrezzate, senza una postazione di lavoro fissa in casa, che hanno vissuto con ansia e stress questo periodo. E infine quelli che sono riusciti a tenere gli stessi carichi e orari di lavoro, ma ora premono per un ritorno alla normalità.

«Lo smart working non può essere solo l’attività da casa», ha spiegato Susanna Camusso, ora responsabile per le politiche di genere della Cgil. Né «può essere una forma di conciliazione. Le donne sono più penalizzate e discriminate, sia sul fronte relazionale che su quello prettamente professionale». Ecco perché, aggiunge, «servono regole per renderlo un lavoro effettivamente smart e non una trasposizione di un lavoro fordista dentro le mura di casa».

La metà di coloro che hanno risposto al questionario della Cgil si è ricavato in casa uno spazio per lavorare, mentre il 19% ha cambiato spesso postazione a seconda delle disponibilità. E le donne sono quelle che dispongono meno degli uomini di spazi dedicati in casa. Quanto alla strumentazione necessaria, gli uomini sono risultati maggiormente forniti di pc, smartphone, cuffie e stampante aziendali; le donne spesso hanno dovuto condividerli con i figli alle prese con la scuola online.

Le condizioni degli smart worker da Covid risentono certo dell’emergenza. Nell’82% dei casi si è stati costretti a lavorare da casa a causa della pandemia. Solo il 18% aveva cominciato prima della quarantena. Nel 36% dei casi lo smart working è stato deciso in maniera unilaterale dal datore di lavoro, nel 37% è stato concordato e solo nel 27% dei casi c’è stato anche un intervento del sindacato. I decreti Cura Italia e Rilancio, d’altronde, hanno eliminato quest’obbligo.

«Laddove è stato negoziato e concordato, è venuta fuori una maggiore consapevolezza di cosa si stesse facendo, in termine di informazioni e competenze», dice Simona Franchi, della Fondazione Di Vittorio. In tanti, non sanno nulla sulla normativa di riferimento dello smart working (39%), sulla sicurezza (43%) e sulla privacy (39%).

E in questi mesi, di fatto, non è stato fatto altro che spostare dall’azienda alle case il lavoro dell’era pre-Covid. Nel 67% dei casi, il rapporto con il datore di lavoro o il diretto responsabile è stato «come prima» e solo nel 10% dei casi è stato definito «più proficuo e stimolante». Il 45% ha risposto che il lavoro rispetto a prima non è cambiato e per il 51% anche i carichi di lavoro sono rimasti gli stessi. Ma per quasi un terzo (29%) sono aumentati, tra passaggi che si sono moltiplicati, problemi tecnici e di accesso alla documentazione.

Il timore principale, se si dovesse continuare a lavorare ancora in questa modalità, è la riduzione delle occasioni professionali e di carriera. Un rischio di isolamento dalle relazioni tra colleghi, che viene accompagnato dal pericolo di essere costretti ad accettare demansionamenti e riduzioni di salario. Il risultato è che, costretti tra le quattro mura domestiche, tra gli smart worker forzati sono alti i tassi di insoddisfazione e infelicità, mentre il senso di realizzazione resta molto basso.

«Bisognare fissare orari di lavoro che valgano sia se si lavora in azienda sia da qualsiasi altra parte», dice Landini. «Con trattamenti economici non inferiori e il diritto alla disconnessione. E per garantire i diritti sindacali e di azione collettiva anche tra smart worker, bisognerà mettere anche chi lavora da casa nelle condizioni di partecipare alle assemblee. Una agibilità sindacale digitale».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter