Azzolina mon amourDopo gli aeroplani e le spiagge, ecco gli alunni di plexiglass

La proposta della ministra dell‘Istruzione sembra una provocazione futuristico-distopica di qualche artista anni Sessanta, ma di mettere i pannelli di plastica tra i banchi delle classi se ne sta discutendo davvero. E se invece si cambiasse semplicemente l’aria?

plexiglass scuola
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Più plexiglass per tutti. O plexiglass is the new black. Dice la ministra Lucia Azzolina che, qualora fosse necessario, si useranno panelli di plexiglass per mantenere il distanziamento fra i banchi di scuola.

È più facile – pare – ingabbiare i ragazzi che organizzare doppi turni per gli insegnanti? Viene il dubbio talvolta che il problema scuola più che sanitario sia sindacale. E anche genitoriale: al primo contagio quale sarà la reazione di mamma e papà – in un paese abituato a questionare per i troppi compiti?

Intanto girano immagini di dolci bambini imbottigliati in deliziose cabine trasparenti. Forse oltre alla mascherine si useranno anche le visiere. Sembra un aggiornamento del videoclip dei Pink Floyd Another Brick In The Wall.

Non che le barriere non siano un aiuto in certe circostanze, dagli ospedali ai centri estetici, dalle casse dei negozi agli uffici pubblici. Queste cabine pedagogiche in plexiglass però somigliano a un’altra “rivoluzionaria” idea che ci ha accompagnato in questi mesi, i box spiaggia in plexiglass. Era metà aprile, e qualcuno le proponeva come possibile futuro prossimo (quanti ne abbiamo avuti in questi mesi?).

Sono perfino riuscite a durare di più nel dibattito pubblico degli assistenti civici del ministro Francesco Boccia. Senza ricambio d’aria e col sole a picco, l’idea perfetta per far bollire la carne del turista, cui si ribellarono prontamente i bagnini di Rimini.

Anche sugli aerei parevano indispensabili i sedili dotati di plexiglass per non perdere nemmeno un posto a sedere. E nei ristoranti: mesi e mesi a dibattere su divisori obbligatori tanto dentro il locale quanto fuori dal locale, e tra un tavolo e l’altro tavolo, e persino tra le singole persone sedute una di fronte all’altra.

Di obbligatorio è rimasto ben poco. Plexiglass è solo il nome commerciale più famoso del polimetilmetacrilato, materia plastica sviluppata nel 1928. Dopo una sua prima applicazione su larga scala durante la seconda guerra mondiale, la plastica diventa successivamente materia comune e quotidiana, legandosi negli anni Sessanta al boom economico, alla rivoluzione dei consumi e degli stili di vita. Arredamento, moda, design, oggetti vari ed eventuali: tutto doveva essere plastica, simbolo di modernità.

E in effetti certe idee attuali contro il virus paiono uscite dalla fantasia futuristico-distopica di qualche designer anni Sessanta. Come il casco da astronauta al posto della mascherina, idea di “un collettivo di artisti berlinesi, una provocazione di design”. Come quella della ministra?

Secondo Roland Barthes la plastica è una materia magica che cede alla prosaicità, una materia miracolosa del tutto inghiottita dall’uso cui viene adibita. Così anche oggi la plastica che ci divide ma ci unisce, il plexiglass, pare talvolta la soluzione magica, vuoi per mancanza di inventiva, vuoi per strani ragionamenti, vuoi per ignoranza scientifica, vuoi per tentativi di profitto (molte aziende han tirato fuori “idee anti-Covid” più a farsi notare che per altro, lo stesso valer per società scientifiche o esperti di ogni genere).

Come tutte le materie plastiche, il plexiglass si presta bene a usi sensati a abusi surreali. Chissà che ci faranno gli studenti, se mai davvero si avvererà questa soluzione. Ci appiccicheranno sopra adesivi e cicche masticate? Ci scriveranno col pennarello citazioni famose delle canzoni e frasi oscene? Ci costruiranno barriere dietro cui imprigionare il professore per bullismo o ribellione (We don’t need no education…)?

Intanto, siccome le lezioni saranno più corte, nelle pause scaglionate magari si potrebbero far uscire gli studenti in corridoio e aprire così le finestre delle aule per cambiare bene l’aria. Un piccolo aiuto al di là del plexiglass. E non solo per il Covid. Ho ricordi olfattivi, tanto da studente quanto da docente, molto pungenti.

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