Non ha avuto la fortuna di “Via col vento”. Non ha venduto, come il romanzo scritto da Margaret Mitchell e pubblicato nel 1936, 180mila copie dopo un mese. Non ha vinto il Pulitzer e non è nemmeno diventato il soggetto di un film pochi anni dopo.
Eppure “Their Eyes Were Watching God” (in italiano “I loro occhi guardavano Dio”, pubblicato a sorpresa nell’Italia fascista del 1938) scritto dall’afroamericana Zora Neale Hurston e pubblicato nel 1937, potrebbe essere il miglior contrappunto alla saga di Scarlett O’Hara e alla nostalgia di un Sud mitologico e mai esistito, fatta di schiavi docili con padroni amichevoli.
Ambientato in Florida, presenta una protagonista femminile, Jeanie Crawford, diversi matrimoni (quasi tutti infelici), un podere da cui trarre ricchezza, fughe in città, omicidi e processi.
La realtà, però, è diversa da quella di “Via col Vento”. Qui ci sono stupri, violenze e segregazioni. La nonna di Jeanie, una schiava, era stata violentata dal proprietario. La madre, Leafy, dal maestro di scuola. Jeanie viene fatta sposare – nonostante amasse un altro – a un vecchio fattore, per amor di stabilità. E lui la tratta come una schiava.
Quando fugge, finisce nelle mani di un brillante politico, che diventa sindaco e la considera come un trofeo da esibire (e poi come proprietà da controllare), conducendola a un matrimonio, lungo, soffocante e infelice. Diventata vedova e ricca, trova l’amore in un signore dai modi gentili, con cui decide di sposarsi. Ma anche qui, le cose peggioreranno.
Se Scarlett O’Hara è stata vista, in più occasioni, come una eroina femminile, in grado di prendere il controllo della situazione e di dominarla, Jeanie fa altrettanto, se non di più.
Un incrocio di dinamiche di genere in conflitto e scontri razziali. Forse proprio per questo al momento della pubblicazione il romanzo non fu apprezzato (a parte qualche rara eccezione).
A differenza del successo di Margaret Mitchell, che in poco tempo creò addirittura una moda “dixie”, con tanto di merchandising d’epoca, “Their Eyes Were Watching God” non sfonda. Anzi, sparisce.
Per una sua (inaspettata) resurrezione occorre aspettare gli anni ’70, i Black Studies, il femminismo nero. A quel punto ecco i saggi, la biografia dell’autrice, le tesi, e alla fine la riedizione del romanzo, nel 1978.
Nel mondo accademico si esalta la figura di Jeanie, si apprezza l’utilizzo particolare della lingua – una sorta di sperimentalismo basato sul discorso indiretto, che tanto deve alla tradizione delle canzoni popolari nere – e si considera che, con le analisi affrettate dell’epoca, la comunità nera di allora aveva «sprecato un genio».
Come considera questo articolo di Le Monde, è proprio sul linguaggio adottato che corre la differenza tra le due autrici contemporanee – di cui una, però, appare sempre più caduta in disgrazia.
Se Margaret Mitchell, nel suo Sud di cartapesta reinventa una lingua nera sulla base delle sue percezioni di donna bianca e privilegiata – in sostanza, una sorta di inglese semplificato e con errori grammaticali – Zora Neale Hurston si rifà invece al linguaggio parlato nelle comunità dell’epoca, di cui era parte, riuscendo a riprodurlo con una certa fedelità (e per questo motivo verrà bersagliata dagli intellettuali neri contemporanei).
Forse non bastano due libri, usciti più o meno nello stesso anno, a rendere chiara la coesistenza di due visioni opposte del problema della razza e dell’integrazione.
Ma il confronto aiuta almeno a ricordare che, nonostante i milioni di copie vendute, ai tempi non c’era solo il paternalismo alla Rossella, ma anche dinamiche di emancipazione più complesse. E riguardavano l’altra comunità, quella dei neri.