Puoi avere il ristorante più bello, il design contemporaneo, l’illuminazione di grido. I piatti di design e la tovaglia di moda. La carta dei vini curata e con proposte à la page. Puoi persino essere in un luogo magico, fronte spiaggia, davanti a un meraviglioso monumento o in una delle piazze più belle d’Italia.
Ma se decidi che la tua strada è il ‘fine dining’ o alta cucina, o quella cosa che prevede una cura maniacale di ogni ricetta, dagli ingredienti, alla cottura, al servizio, ti servono due cose.
Competenza tecnica e savoir faire.
Perché l’accoglienza vale il 40% della mia esperienza gastronomica: farmi sentire a mio agio, accompagnarmi nella degustazione, non essere noioso o pedante ma non dimenticarti di sottolineare gli aspetti che possono cambiare la mia percezione dei piatti è un tuo dovere. Ed è un’arte. Ho conosciuto molti maître: li ho sempre ritenuti dei perfetti piacioni. Ma anche i più cazzoni, i più capaci di ironia, quelli che sono più in grado di recitare, sanno che sono io il cliente. Sanno di essere lì per me. Sanno che il loro lavoro dipende da quanto sapranno coinvolgermi, entusiasmarmi, sedurmi (E Alessandro Pipero sarà d’accordo con me).
Poi, in cucina, serve la tecnica. Perché non basta comprare le materie prime da Longino, non serve farsi fare la carta da Dan Lerner, non basta scegliere la pasta Felicetti o condire con olio Incuso. Aiuta, certo. Ma se non padroneggi il fuoco, se non sai cosa devi fare con quel coltello, se non percepisci quando è ora di dire basta al sale e quando smettere con le spezie, allora il tuo fine dining è un grande bluff.
Eppure… eppure hai fatto tutti gli investimenti, hai guardato tutti gli show televisivi e letto i libri d’autore. Conosci tutte le classifiche e pensi di poterle scalare. Hai anche una chat coi colleghi in cui discuti di Roner, una in cui vi confrontate su quanto deve fermentare il kombucha.
Ti svelo una grande verità: non basta.
Serve competenza e servono studio, metodo, lavoro. No, qualche stage non pagato in ristoranti di pregio non basta.
Nemmeno qualche viaggio nelle capitali del cibo.
L’alta cucina, amici miei, non è uno sport per improvvisati. Se ‘vorrei’, poi ‘devi’. Se no, è solo un ‘non riesco’, nemmeno un ‘non posso’.
PS
Lo spicchio di limone con il pesce non si usa più dagli anni ‘80.