Il futuro del libroStefano Mauri non crede negli algoritmi, perché sono il senno di poi: la cultura si fa dal vivo

Nonostante le accelerazioni nelle abitudini tecnologiche portate dal lockdown, secondo il fondatore di Gems l’editoria non può rinunciare ai suoi canali di distribuzione tradizionali. È con quelli che si creano comunità di lettori, con cui emergono idee e autori nuovi

Vincenzo PINTO / AFP

Lo si è detto più volte: i cambiamenti portati dal Covid non sono state svolte ma accelerazioni. La direzione era quella, soltanto è arrivata prima del previsto e, molto spesso, prima anche che il mondo fosse preparato. Nel mondo dell’editoria, per esempio, la chiusura delle librerie ha imposto un utilizzo maggiore del web: ordinazioni online, nuove scoperte, abitudini acquisite. Insomma, la realtà del settore è cambiata, almeno un po’, sotto questo aspetto?

Secondo Stefano Mauri, editore e fondatore insieme a Luigi Spagnol del gruppo GEMS, sì. Ma senza eccessi. «Certamente c’è stato uno spostamento verso l’e-commerce», spiega, «quando c’erano poche altre alternative. Una parte dei consumatori, soprattutto nelle fasce di mezza età, ha sperimentato questa modalità di acquisto».

Cambierà qualcosa? «sì. Alcuni compreranno lì i libri che avrebbero acquistato in libreria. E alcuni ne compreranno anche di più, grazie alla facilità del servizio (un po’ lì e un po’ in libreria) e perché la ridotta socialità ha fatto riscoprire il piacere della lettura».

È un fatto, insomma, che «in alcuni Paesi da quando è finito il lockdown ci sia stato un piccolo rimbalzo nelle vendite rispetto all’anno scorso. In Italia, in Germania, in Uk, in Lettonia e in Belgio».

Le prime librerie che hanno aperto, soprattutto quelle di quartiere e di provincia, hanno «subito ritrovato la propria clientela e hanno affinato le proprie capacità di usare gli strumenti offerti da internet per fidelizzare i propri lettori, sviluppando di più il servizio a domicilio». Chi ha sofferto di più, invece, sono state «quelle che vivevano del passaggio delle folle, quelle degli aeroporti o nel centro delle grandi città».

E passando alle case editrici: che effetto hanno avuto il lockdown e internet? C’è stata una svolta verso l’e-commerce, o l’on-demand? «Quando una casa editrice pubblica una novità ha già presentato il libro ai librari. Sa quante copie mandarne in ogni libreria, in ogni supermercato e anche in ogni store online. Questi ultimi, poi, sviluppano il preorder: perciò da questo punto di vista non cambia molto rispetto a prima».

Quello che cambia, invece, «è il rapporto tra titoli e copie acquistati». Un problema, soprattutto in termini di costi, «perché costringe la distribuzione a manipolazioni più care, perché movimentare 10 copie di 10 opere diverse è più complesso e costoso che muovere 10 copie della stessa opera».

Ma che panorama si avrebbe se si implementasse l’on-demand per i libri? «Dal punto di vista della distribuzione, bisogna prima di tutto sgombrare il campo da un equivoco piuttosto diffuso. Quando si dice che la distribuzione costa il 60%, si dimentica di dire che la grossa parte di questo costo è il margine che viene lasciato dall’editore al retail. Il costo della distribuzione fisica, negli anni, è un po’ sceso. Il margine per il retail, invece, è salito. A causa delle concentrazioni».

Di conseguenza, «come editore io ho un mandato preciso dall’autore: ogni libro deve raggiungere più lettori possibile. Che sia in libreria, al supermercato, via e-commerce, come ebook o sotto forma di audiolibro. A me interessa la diffusione dell’opera e la remunerazione dell’autore – oltre all’economia necessaria per la mia sopravvivenza come editore».

E con l’e-commerce «quello che preoccupa è la forte concentrazione in poche mani. Del digitale, quello che preoccupa è la pirateria». Invece, «quello che ci piace delle librerie è che sono uno spazio fisico in cui si incontrano autori e lettori, dove i libri toccano i loro lettori, i librai aggiungono, oltre alle capacità gestionali, anche la passione e la conoscenza dei clienti».

Questo «aiuta a costruire un pubblico più solido per i nuovi autori in gamba. Gli algoritmi sono molto sofisticati, ma sono il senno di poi all’ennesima potenza». Lo può vedere chiunque, «basta comprare un oggetto su internet e poi si viene perseguitati da pubblicità di quello stesso tipo di oggetto anche se lo ho già acquistato».

Al contrario, «la cultura è fatta di rinnovamento, sorpresa e del rimettere tutto in discussione».