Pagina 770Gli italiani sanno ancora cos’è il Televideo

Il servizio di teletext della Rai è entrato in funzione nel 1984, quando sembrava un prodotto alieno. Oggi il 32 per cento degli italiani dichiara di conoscerlo ancora «bene», perché è un prodotto rapido, d’impatto, e in più ha anche una grafica vintage molto attraente

Immagine Rai

La promozione del Benevento calcio in Serie A è stata celebrata dagli account social della società sannita in maniera piuttosto elementare: la scritta «È FINITA», tutto maiuscolo, con una lunga sfilza di A, qualche hashtag a corredo e una fotografia: una schermata del Televideo con il tabellino della vittoria decisiva, nel derby campano con la Juve Stabia.

Le classiche schermate con sfondo scuro, le scritte in bianco con font in stile “macchina da scrivere” e i nomi delle squadre nei riquadri blu elettrico sono un riferimento nostalgico per tanti appassionati di calcio: è per questo che il Benevento le ricrea ad hoc ad ogni occasione buona sui suoi profili social dall’inizio della stagione sportiva.

Quelle immagini, infatti, nascondono un sottotesto ancora più interessante: il rimando al Televideo della Rai è ancora attuale e riconoscibile, in parte anche dalle nuove generazioni.

Le analisi della Rai, in collaborazione con Gfk, rivelano che lo zoccolo duro degli utenti di Televideo è sicuramente nella fascia d’età adulta: la maggior parte sono uomini sopra i 55 anni. Ma i dati sono più omogenei di quel che si potrebbe pensare: il 32 per cento degli italiani dichiara di conoscere «bene» o «abbastanza bene» il Televideo (su un campione di 3.050 persone di età superiore ai 14 anni, dati relativi alla seconda metà del 2019). Inoltre più di un intervistato su cinque – il 21,6 per cento – ne fa ancora uso, anche se solo un intervistato su dieci, o poco più, dichiara di consultarlo più di una volta a settimana.

Purtroppo non c’è un indicatore che misuri in valore assoluto il numero di lettori/utenti di Televideo. L’ultima indagine di mercato di questo tipo risale al 2013 e individuava un pubblico quotidiano di circa un milione e mezzo di persone.

Ad ogni modo, i valori della seconda metà del 2019 sono in linea con il semestre precedente, anzi addirittura registrano una leggera crescita, e dall’ufficio marketing della Rai il Responsabile dei sistemi di rilevazione e monitoraggio Marco Catena dice a Linkiesta che sono «numeri positivi considerando che negli ultimi anni l’offerta della Rai si è ampliata molto, in più direzioni».

La resistenza di Televideo all’invecchiamento è merito «della facilità di utilizzo e di accesso», si legge nel report dell’ufficio marketing Rai. Ma non solo: come dice a Linkiesta il caporedattore centrale del Televideo Rai, Sergio Rafaniello, «giocare un ruolo importante anche la completezza di un servizio che ogni giorno produce un centinaio di notizie», e dell’impatto diretto che hanno sul lettore: «Anche una notizia storica come il crollo del muro di Berlino deve poter essere data in tre righe, le poche parole che uno ricorda di più. “È caduto il muro di Berlino”. È il motivo per cui è molto seguito lo sport, perché il servizio spoglia il giornalismo sportivo di tutte quelle chiacchiere che ogni giorno vengono fuori».

Certo, il servizio non è esente dai problemi tipici del giornalismo. Gli errori capitano, come in tutte le redazioni, e allora può darsi che la Juventus abbia giocato la semifinale di Coppa Italia contro l’Inter anziché il Milan. Oppure, peggio ancora, che le schermate con lo sfondo scuro siano riprodotte da qualche “pirata informatico” per diffondere notizie false. È successo ad esempio a inizio febbraio con un caso diventato virale: qualcuno ha riprodotto le schermate del Televideo, diffondendo poi le foto su whatsapp. Si parlava di due casi di coronavirus in Toscana, uno a Cecina, l’altro ad Arezzo.

Oggi il teletext somiglia tanto a una reliquia del passato, ma è più un highlander immortale dell’informazione che ha saputo resistere alla diffusione di internet e al mutare dei tempi. Intanto perché è un precursore delle news on demand, un portale in costante aggiornamento come un’agenzia giornalistica per i cittadini, consultabile in ogni momento. Fino agli anni Duemila non esisteva un’altra piattaforma con un prodotto simile con politica, economia, sport, e poi ancora la guida tv, il meteo, gli orari dei treni e tutto il resto. Per di più gratis e diffuso in tutte le case.

«Era come leggere le notizie al computer, soltanto che al posto del monitor avevi il televisore, e al posto del mouse il telecomando. Leggevi un titolo sull’ultim’ora, poi andavi alla pagina della notizia interessata, poi alla seguente magari c’era la risposta dell’opposizione, per dirne una. È un link continuo», dice Rafaniello.

Il Televideo Rai è nato ufficialmente il 15 gennaio 1984, con circa 300 pagine. «La sensazione – racconta Rafaniello, che sarebbe entrato in Rai poco dopo – è che fosse una cosa marziana, ma passo dopo passo si è ritagliato il suo spazio. E non era facile perché il giornalismo si faceva di più sul campo, si andava ai congressi dei partiti, o al Festival di Sanremo, o dove c’era la notizia e si riportava come in un’agenzia. Infatti la redazione era molto più numerosa rispetto a oggi».

Negli anni il servizio di teletext è stato emulato da altre emittenti: nei primi anni Novanta arrivò Mediavideo di Mediaset, e nel 2001 quello di La7 (poi interrotto nel 2014). Ma il Televideo Rai rimase quello con maggior seguito, nonostante il progressivo slittamento di lettori su altre piattaforme: nel 2008 registrava ancora oltre 20 milioni di lettori mensili.

Se la diffusione era iniziata negli anni Ottanta, gli studi per mettere in pratica un servizio di teletext erano iniziati già nel 1977 al Centro Ricerche Rai di Torino, che decise di adottare il sistema britannico.

Il primo sistema teletext infatti entrò in servizio nel 1974 in Inghilterra con il Ceefax della Bbc. Inizialmente progettato solo per i sottotitoli di alcune trasmissioni televisive, ma ebbe una rapida evoluzione diventando in pochi anni una delle principali fonti di informazioni per milioni di telespettatori.

Rapidamente si diffuse in tutto il mondo. Nel 1980 il New York Times pubblicò un articolo in cui raccontava l’incertezza dell’industria televisiva statunitense di fronte alla possibilità di creare ulteriore competizione tra i broadcaster. Ma in quel numero del 28 agosto il tema all’ordine del giorno era soprattutto sulla tecnologia da adottare: c’era già un modello britannico, uno francese, uno canadese, evidentemente simili ma non del tutto uguali tra loro.

Curiosamente in Europa il primo grande servizio di teletext ad essere riposto in soffitta è stato proprio il Ceefax inglese. Con il passaggio al digitale terreste nel 2012, il servizio è stato definitivamente chiuso in quanto ritenuto obsoleto. In Francia, dove non ha avuto lo stesso successo della sua controparte italiana o britannica, è andato in pensione nel 2016.

Ma altrove è rimasto un caposaldo nell’informazione dei cittadini. In un articolo pubblicato lo scorso 9 luglio il quotidiano sportivo francese Equipe scriveva del grande seguito di cui ancora gode il servizio di teletext in Germania, a quarant’anni dalla sua istituzione. « È nato in un’epoca in cui non c’erano pay tv né Internet, figurarsi lo streaming. E il sabato pomeriggio, alla radio, il “multiplex” della Bundesliga iniziava solo un quarto d’ora dopo la fine delle partite. Ma ancora oggi 18 milioni di tedeschi, un quarto della popolazione nazionale, continuano a usarlo regolarmente ogni mese».

Il motivo della sua straordinaria capacità di resistere all’evoluzione dei media, in Germania come in Italia, probabilmente, come dice Rafaniello, sta anche in un elemento estetico, in quelle grafiche che hanno un sapore vintage». Ma forse c’entra anche la semplicità dell’idea che sta alla base del teletext: un servizio facilmente fruibile, rapido e intuitivo che può essere consultato comodamente dal divano. Proprio come lo smartphone, ma con il telecomando, su uno schermo più grande.

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