Sono stati i primi a chiudere, abbandonati dai clienti quando il coronavirus era ancora visto come una “malattia che veniva dalla Cina”. Ma poi, finito il lockdown, i locali della Chinatown milanese hanno riaperto, e hanno ricominciato a lavorare, e bene. Oggi passeggiando in Via Paolo Sarpi non si ha più la sensazione di attraversare un deserto, anzi. Le persone camminano in strada, ci sono code, magari non lunghissime, ma ordinate e pazienti, davanti agli street food come ai centri di assistenza per telefoni e pc.
La mascherina tiene lontano il virus e le paure: anche se per mangiare bisogna abbassarla è il simbolo più evidente di un cambiamento che sicuramente c’è stato, qui come in altre zone della città. Ma cosa è cambiato in concreto? Molto poco, secondo Francesco Wu, referente in Confcommercio Milano per l’imprenditoria straniera e presidente onorario dell’Unione Imprenditori Italia-Cina. «La maggior parte dei locali ha riaperto, quasi tutto il comparto food, tranne un paio di attività che avevano già dei problemi prima della crisi. C’è movimento sulla via Sarpi, c’è lavoro, non ancora come prima, ma ci si avvicina: luglio è stato sicuramente meglio di giugno. Chi lavorava bene ha ricominciato, ha ripreso l’attività; qualcuno ha approfittato della pausa forzata per fare dei lavori di ristrutturazione. E chi ha dovuto chiudere in realtà era già debole».
Ramen e raviolerie: voglia di Oriente e di aria aperta
E c’è anche chi avvia nuove attività. «Aprono nuovi street food – spiega Wu – secondo un’impronta che già c’era e che si sta rafforzando. Il binomio “impasto più carne”, quello delle raviolerie, degli hamburger con pane al vapore o con pane cotto sulla piastra è quello che va per la maggiore. Non si tratta solo di baracchini, ma di tutti quei ristoranti che hanno un affaccio sulla strada. Vanno forte anche le spaghetterie e i ramen». E Francesco Wu ne sa qualcosa: il suo locale, Ramen a mano continua a offrire l’originale Lanzhou Lamian impastato e fatto a mano, gli spaghetti freschi fatti al momento, e la gente lo apprezza. Ma non basta: si viene in Paolo Sarpi alla ricerca di sapori autenticamente orientali, con la voglia di stare preferibilmente all’aperto, ma anche di mangiare in fretta. Nell’era post crisi non ci si attarda a tavola. «Anche questa era una tendenza che c’era già e che ora si è accentuata. I locali nuovi, quelli aperti negli ultimi due anni, hanno tutti un corso veloce. Si sta per il tempo di mangiare e via».
Clienti vecchi e nuovi
Insomma, in via Sarpi si viene per passeggiare, non solo per mangiare, poi si sceglie dove fermarsi: un rituale che si è solo interrotto per qualche mese e che ora ricomincia. Ma chi sono i clienti dei ristoranti della Chinatown milanese? «La clientela più affezionata continua a frequentare la zona. Certo, alcuni cambiamenti ci sono. Mancano i più anziani, mancano i turisti, che in questa stagione erano tanti, mancano i 10.000 studenti cinesi, dato che molti sono tornati in Cina, mancano gli universitari, i lavoratori del mezzogiorno. La differenza si sente. Ma ci sono tanti milanesi, che vengono apposta per una cena orientale. Qualche turista, soprattutto italiani». Purtroppo però, insieme alle nuove aperture e alle vecchie conferme, dopo il lockdown tornano anche alcuni problemi, e Wu chiede aiuto per risolverli: «I ladri. Sono tornati e sono più di prima. In giro, nelle case, rubano biciclette, portafogli, piccole e grandi cose. È una questione di sicurezza a livello generale, già ben nota, se ne parla dappertutto, anche sui gruppi facebook. Chiediamo un intervento più presente delle forze dell’ordine quando vengono chiamate e una maggior azione di prevenzione». Perché a Chinatown come nel resto della città, la rinascita passa anche e soprattutto dalla sicurezza.