Conti in tascaTra sconti fiscali e modello tedesco, il prossimo terreno di scontro del governo sarà sulle tasse

Gualtieri punta all’aliquota Irpef “personalizzata” e progressiva calcolata da un algoritmo. Italia Viva e Cinque Stelle preferiscono la riduzione degli scaglioni. Ma vanno trovati almeno 10 miliardi, e mettere mano alla Babele delle tax expenditure non sarà un’operazione semplice

Photo by Markus Spiske on Unsplash

Negli ultimi giorni d’estate, il dibattito sulla riforma fiscale comincia già a scaldare gli animi della maggioranza. Ma sarà da settembre in poi, quando si inizieranno a muovere le prime pedine in vista della legge di bilancio, che la riforma dell’Irpef diventerà probabilmente il vero terreno di scontro nel governo.

Le parole del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dal meeting di Rimini sulla riforma dell’Irpef che «si deve autofinanziare attraverso la “debonusizzazione” del sistema fiscale» hanno fatto drizzare le antenne di Cinque Stelle e Italia Viva. Nel merito, tutti concordano sulla necessità di ridurre le tasse per il ceto medio. Ma le ricette sono diverse. Anche perché – ha chiarito Gualtieri – i 209 miliardi in arrivo dall’Europa non potranno essere usati per una riduzione strutturale delle tasse, né il governo ha intenzione di fare nuovo deficit.

Ma perché la riforma dell’Irpef abbia un impatto significativo sulle tasche dei cittadini al governo servono almeno 10 miliardi. La domanda è: dove trovarli?

Il Tesoro prova a riaccendere i riflettori sulle cosiddette spese fiscali o tax expenditure, la Babele degli oltre 530 sconti fiscali tra detrazioni, esenzioni, regimi speciali e riduzioni d’aliquota che vale circa 60 miliardi e che ha permesso finora a cittadini e imprese di ridurre il carico fiscale da pagare ogni anno. Dalla cedolare secca alla riduzione dell’accisa sul gasolio per il trasporto merci, dalle esenzioni per le pensioni di guerra alle detrazioni delle spese sanitarie. Al ministero c’è una apposita Commissione sulle spese fiscali che da tempo studia la riduzione degli sconti. Un groviglio di norme e cavilli che, a turno, tutti i governi hanno promesso di sforbiciare. Senza mai riuscirci. Perché tagliare una agevolazione significa di fatto aumentare le tasse a quelli che ne beneficiano. A ogni voce corrispondono specifici interessi di categorie e settori, più o meno vicini ai partiti. E il rischio di finire al centro di polemiche impopolari spaventa i politici.

Ora Gualtieri vorrebbe aprire il vaso di Pandora. Le ipotesi sono due: effettuare tagli lineari proporzionali alla classe di costo in termini di gettito della singola esenzione, o puntare su tagli mirati per ciascuna voce. Ma molte agevolazioni non si possono toccare, soprattutto quelle legate ai carichi familiari e alle spese sanitarie. E i 19 miliardi dei sussidi ambientalmente dannosi (sad), le agevolazioni con un impatto negativo sulle risorse naturali, potranno essere rimodulati certo ma non usati per coprire il taglio le tasse. Il perimetro di azione, quindi, si riduce.

Nella giungla di norme, si calcolano in tutto 48 diverse detrazioni, 45 tipi di deduzione, 121 esenzioni, 112 esclusioni, 27 regimi sostitutivi, 48 crediti d’imposta, 44 regimi speciali e 42 riduzioni di aliquote. L’Irpef è ridotta ad esempio da ben 141 spese fiscali. Per le imposte di bollo e catastali, se ne contano 71.

Rimettere mano alle spese fiscali servirebbe, nei piani del Tesoro, ad alleggerire l’Irpef sui ceti medi. Nel mirino c’è soprattutto lo scalone del salto di aliquota dal 27 al 38 per cento oltre i 28mila euro. Ma bilanciare la revisione delle aliquote con quella delle tax expenditure non è un’operazione semplice.

Le ipotesi che circolano al Mef sono due. La prima è ridurre gli scaglioni dagli attuali cinque a quattro, intervenendo sulle aliquote centrali del 38% e del 41% e facendole confluire in un’unica aliquota. Con un meccanismo progressivo al crescere del reddito e un tetto al 43%, che oggi è l’aliquota massima.

Ma Gualtieri e una parte del Pd non nascondono anche una certa preferenza per il cosiddetto “modello tedesco”, con un sistema progressivo continuo senza scalini tra le diverse aliquote e percentuali di prelievo che crescono con il crescere del reddito dichiarato. Il carico fiscale verrebbe quindi calcolato sulla base di una formula matematica, con una aliquota “personalizzata”. Basterebbe inserire in un calcolatore digitale il reddito imponibile e la categoria a cui si appartiene (dipendente, autonomo o pensionato) per veder comparire la percentuale di tasse sul reddito lordo.

Un modello però giudicato troppo complicato da Italia Viva e Cinque Stelle, che spingono invece per una riduzione delle aliquote da cinque a tre. Certamente più facile da comunicare ai cittadini.

Resta da capire, al di là della forma, dove trovare le risorse. Italia Viva spinge per eliminare tutte le tax expenditure, salvandone solo pochissime, dall’esenzione Imu sulla prima casa alle detrazioni delle spese sanitarie. I tecnici che stanno lavorando al dossier danno per certa, nell’architettura generale, la cancellazione del bonus Renzi da 80 euro, portato a 100 euro con l’ultima legge di bilancio. Ma bonus e detrazioni dovranno essere riassorbiti dalla riduzione delle aliquote, senza comportare perdite in busta paga. Servirà un lavoro certosino, senza sorprese per i contribuenti.

La strada è tutta in salita. Ma se l’obiettivo è la riduzione della disuguaglianza tra i redditi «non si può prescindere da una profonda revisione della struttura delle aliquote e delle detrazioni», si legge in un recente paper pubblicato da Lavoce.info. L’effetto redistributivo delle detrazioni ad oggi dipende essenzialmente da quelle per tipologia di reddito (circa il 28%) e da quelle per familiari a carico (quasi il 18%). Quelle legate a specifiche voci di spesa, invece, danno diritto alle detrazioni relativamente più concentrate tra i redditi più elevati, riducendo l’effetto redistributivo. E l’incidenza dei cosiddetti “regimi speciali”, spiegano, cresce all’aumentare del reddito. Ed è qui che il governo vorrebbe intervenire.

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