La ferita tra Carlo Calenda e Matteo Renzi potrebbe essersi rimarginata. C’è ancora il beneficio del dubbio, ma i segnali non mancano. L’ultimo arriva da Ivan Scalfarotto, candidato alle regionali in Puglia del prossimo 20 settembre, che sabato 12 settembre avrà proprio i leader di Azione e Italia Viva al suo fianco, a Bari, «a sostenere le ragioni di una candidatura riformista ed europeista», come spiega lui stesso.
E oggi Scalfarotto mette insieme quelle anime di un’area centrista, con sfumature di sinistra, liberale ed europeista.
Qual è il senso di questa candidatura che ha spaccato il centrosinistra?
La Puglia è una regione con grandi potenzialità ma sofferente per una drammatica carenza di leadership, con un ceto politico inamovibile, trasformista, provinciale. Parliamo di una regione in cui di 50 consiglieri uscenti se ne ricandidano 49. Una classe politica trasformista, con parecchi casi di consiglieri regionali che si presentano nello schieramento opposto di quello a cui appartenevano nella legislatura precedente. La mia candidatura vuole, appunto, spezzare questo legame malato tra una terra feconda di opportunità e una classe politica che invece di pensare alla crescita del territorio pensa quasi in modo esclusivo alla sua sopravvivenza.
Una candidatura che porta insieme i nomi di Carlo Calenda e Matteo Renzi è una candidatura che può rappresentare un’alternativa per la politica pugliese e italiana?
Per la Puglia rappresentiamo l’unica opzione non populista, non demagogica, in questa campagna elettorale. La mia candidatura è espressione di Italia viva, ma anche di Azione, +Europa, Volt, Partito liberale italiano, anche Ali di Oscar Giannino, se non ci fossimo stati noi i pugliesi si sarebbero ritrovati a scegliere tra tre sfumature di populismo. Quella antieuropeista di Fitto, quella della decrescita dei Cinquestelle, quella del populismo ruspante di Emiliano. E le ultime due sono anche due facce della stessa medaglia, con Emiliano che ha già detto che se dovesse vincere porterà il M5s in maggioranza: votare lui o i Cinquestelle è la stessa cosa.
E a livello nazionale?
I partiti che mi appoggiano sono partiti diversi, ognuno con la sua identità, però condividono un sistema di valori: sono europeisti, pragmatici, non demagogici, schierati dalla parte della scienza e della statistica – non di sciamani o Fake news – al momento di formulare le proprie idee. Insomma, convergiamo su molti punti nonostante le differenze.
Azione e Italia viva però sono, rispettivamente, all’opposizione e al governo.
Secondo me è dovuto al fatto che pur in presenza di un’analisi simile le conclusioni a cui i due partiti arrivano è diversa. Entrambi sono contrari a ogni forma di populismo, poi Italia viva ha considerato la necessità di non dare pieni poteri a Salvini un elemento sufficiente per dar vita a questo governo. Per Azione non era così. Però mi auguro che questa candidatura contribuisca a creare occasioni di dialogo per il futuro, e guardo a tutti i partiti nella mia coalizione, non solo Italia Viva e Azione.
Politicamente questo esperimento può avere un riflesso a livello nazionale?
Noi qui stiamo parlando dei problemi di 4 milioni di cittadini della Puglia, problemi dovuti alla cattiva gestione di Emiliano. Dato che si tratta di un’elezione regionale parliamo di temi regionali. Poi in Italia abbiamo il vezzo di considerare ogni tornata elettorale sul piano nazionale, anche se si vota per la chiusura di un’isola pedonale in un piccolo comune.
Un buon risultato alle regionali però potrebbe essere un segnale?
La Puglia è da sempre un laboratorio politico, quindi potrebbe essere un segnale di incoraggiamento. Non avrà un impatto diretto, ma certamente una buona affermazione sarebbe un elemento di incoraggiamento per le leadership per intensificare il dialogo e la collaborazione tra i partiti.
Il rischio di un centrosinistra spaccato è la vittoria del centrodestra, è disposto a correre questo rischio?
Bastava non candidare Emiliano. Non è idoneo a rappresentare un punto di sintesi tra Italia viva e il Partito democratico. Lui è tutto il contrario della sinistra europeista e riformista. È sempre stato molto vicino ai Cinquestelle: cinque anni fa nominò tre assessori grillini a loro insaputa. Ha sempre predicato l’alleanza strategica con loro.
Che è la stessa alleanza di governo.
Per me il Movimento cinque stelle è pro tempore un alleato di governo per ragioni di forza maggiore, ma non ci vedo un orizzonte strategico di lungo periodo. Una fusione con i grillini sarebbe la negazione della sinistra riformista. Nel momento in cui il Partito democratico ha scelto Emiliano in Puglia ha scelto anche di non avere Italia viva al suo interno. Chi è leader di una coalizione di anime diverse deve essere in grado fare sintesi tra quelle anime.
Quindi meglio Emiliano o Fitto?
Per me non c’è differenza, sono la cattiva politica, la scelta tra la padella e la brace. Il Partito democratico di Bonaccini e di Gori è una cosa, quello di Emiliano è un partito populista che è fuori dall’alveo della sinistra riformista, lontanissimo da me.
Cos’è oggi il Partito democratico?
Un partito sempre più simile al Partito democratico di Emiliano e sempre meno a quello di Bonaccini, purtroppo. Parliamo di un partito dove vertici nazionali come Franceschini e Bettini teorizzano un’alleanza strategica con il Movimento cinque stelle come futuro della sinistra italiana. Per me la sinistra non può essere grillina. Per me quest’alleanza può essere solo per cause di forza maggiore, transitoria, temporanea, come ora. Ma non di lungo termine.