SuccessionLa sfida dell’intergenerazionalità per le imprese italiane

Le aziende a conduzione familiare si sono adattate meglio durante la pandemia, ma l’accelerazione dei processi di digitalizzazione e l’allargamento del gap generazionale adesso impongono un cambio di passo per attrarre talenti e innovare

Le imprese familiari costituiscono circa il 93% delle imprese italiane: sono l’ossatura del tessuto produttivo (e non si parla solo di pmi, ma anche di metà dei gruppi quotati in Italia). Un tessuto produttivo che, secondo le ultime stime Istat, è stato messo in grande difficoltà dalla della pandemia: -12,8% sul Pil nel secondo trimestre del 2020, ancora peggio di quanto inizialmente pronosticato.

Al netto di un impatto generalizzato del coronavirus, per le imprese familiari però le conseguenze sono ancora più complesse, perché si tratta di contesti dove «le decisioni e i processi non avvengono in maniera puramente economica, ma anche emotiva», come spiega a Linkiesta Alfredo De Massis, professore di Family Business and Entrepreneurship all’Università di Bolzano. Lo “scontro generazionale” fra i capi d’azienda e i loro successori, dove storicamente i manager più giovani e innovatori si scontrano con il tradizionalismo dei vertici, è solo uno dei nodi che vengono al pettine al tempo dell’accelerazione digitale imposta dalla pandemia.

Il fatto che il coronavirus abbia colpito la generazione più anziana, che comprende anche i leader d’azienda (i quali hanno per il 70% più di sessant’anni), per esempio, ha «fatto aprire gli occhi a molti sul fatto che il passaggio del testimone potesse essere più vicino di quanto si pensava», spiega De Massis. L’esperto ricorda la criticità storica della questione dei passaggi generazionali nelle imprese familiari: «solo il 30% dei business sopravvive nel passaggio dalla prima alla seconda generazione, il 12% dalla seconda alla terza e appena il 4% dalla terza alla quarta».

Eppure, secondo quanto riscontrato dallo stesso De Massis in uno studio in corso di pubblicazione, le imprese familiari sono state nella pandemia molto più resilienti delle altre. Merito sicuramente del ricorso a «catene di fornitura locali, a fronte di una crisi che ha mostrato i limiti e i rischi di una catena globale», spiega l’esperto, ma anche e soprattutto di una visione più solida dettata dalla presenza familiare in azienda, che la rende «più orientata al lungo termine e meno ai risultati economici, caratteristiche che hanno consentito di reagire meglio, dando priorità ad aspetti non economici nel momento di difficoltà, e valorizzando la propria storia, che si è rivelata una bussola con cui orientarsi».

Una caratteristica confermata anche da Elena Zambon nel volume “Basta chiacchiere! Un nuovo mondo del lavoro” in cui riprende i cinque punti di forza delle aziende familiari individuati dalla Harvard Business Review: la creazione di un ambiente di lavoro collaborativo, la ricerca della qualità di lungo periodo, la propensione ed attenzione alla reputazione dell’azienda, la definizione di un’organizzazione flessibile, una governance che coinvolge ed impegna tutti i suoi componenti.

Parrebbe una ricetta perfetta anche per il post pandemia, ed anche per soddisfare ciò che più cercano i giovani in azienda. «In tutte le imprese familiari si crea un forte sentimento reciproco che porta imprenditori e lavoratori a considerare l’altro come una persona con la quale esistono legami fondati non solo su una base contrattuale», spiega infatti Zambon.

Tuttavia, ancora oggi le imprese familiari hanno difficoltà a integrare le giovani leve al proprio interno e a conservarle, come conferma Marta Basso, co-fondatrice di Generation Warriors, società di consulenza sui temi dell’intergenerazionalità fondata circa un anno fa: «sono molte aziende che ci hanno chiesto di dar loro una mano per colmare il gap generazionale, per capire come inserire i giovani, come farli sentire più parte, come motivarli di più e come comunicare con loro».

Non a caso, Generation Warriors nel corso di quest’anno si è concentrata sull’offerta servizi di formazione e comunicazione sia interna che esterna. Non solo: ha anche appena lanciato un Osservatorio sulle generazioni (di cui De Massis è coordinatore scientifico) per raccontare tutte le sfumature della questione generazionale in azienda e fornire una risposta accademica in termini di statistiche, analisi e trend e fornire spunti e soluzioni. «Non si tratta di scalzare gli anziani per fare largo ai giovani, ma di riuscire a far conoscere e valorizzare le nuove generazioni e i loro linguaggi e valori», spiega Basso.

In questo senso, assicura De Massis, la pandemia ha dato uno scossone ai leader esistenti e accelerato i processi di trasformazione in favore dei giovani, ma bisogna essere capaci di raccogliere la sfida. «Un’impresa familiare ha tantissimi punti di forza ma altrettanti punti di debolezza. Le imprese familiari performano meglio, ma bisogna ben gestire le sfide future per fare in modo che i punti di forza prevalgano, eliminando i fenomeni di nepotismo e scarsa professionalizzazione, e mettendo il merito al centro dell’operare in azienda».

Il lavoro agile è in questo senso un buon punto di partenza. «Le imprese familiari tendono a mantenere il controllo, sempre più però si tratterà di affidarsi. A livello psicologico è importante superare questo scoglio, nello stesso tempo il vantaggio è che si sposano gli obiettivi della famiglia proprietaria», spiega De Massis.

«La creazione dell’opportunità genera e determina il merito. Ma l’opportunità è indissolubilmente legata anche alla responsabilità di noi imprenditori. Se supportiamo ed aiutiamo i giovani nello studio, nella formazione, nello sperimentare e nello scoprire nuove tecnologie e nuove scienze, abbiamo come imprenditori, ma anche come cittadini di un mondo che si sta polarizzando tra chi ha le possibilità di crescere e chi queste opportunità le vede negate, la responsabilità di consegnare loro una società ed una civiltà che possa far esprimere appieno tutte le loro capacità e potenzialità», dice Zambon. «Il modo migliore per attrarre e mantenere i talenti migliori è condividere con loro un’ambizione, intesa nella sua accezione positiva di creare meriti per sé e per la propria comunità di appartenenza, e dare loro la possibilità di partecipare, essere protagonisti di questa sfida».

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