Rivoluzione a metàNon illudiamoci che il digitale risolva i problemi della scuola italiana

In un sistema dell’istruzione arretrato per metodi e strumenti, le nuove tecnologie vengono presentate come una panacea. Non è così: come spiega Marco Erba in “Insegnare non basta” (Vallardi), occorre saperle incorporare con gli insegnamenti tradizionali (ed è più difficile)

SCOTT EISEN / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / GETTY IMAGES VIA AFP

La didattica digitale offre una serie incredibile di opportunità. Quando ho iniziato a sperimentarla, non mi rendevo conto delle potenzialità di un tablet.

Il docente può condividere con gli studenti una quantità di materiale pressoché infinita, caricandolo su apposite piattaforme. Gli studenti possono fare lo stesso, condividendo elaborati e compiti in tempo reale.

Inoltre i lavori di gruppo sono estremamente velocizzati: gli studenti possono scambiarsi informazioni anche a distanza, creare video e testi, unire ciò che hanno prodotto, correggersi a vicenda.

La didattica digitale favorisce il lavoro di squadra, perché sviluppa la capacità di pianificare insieme un progetto, di organizzarsi per raggiungere un obiettivo, di dividersi i compiti: tutte doti essenziali nel mondo del lavoro.

Se io riverso centinaia di informazioni su un ragazzo in una lezione frontale, lui magari ascolta e studia, ottenendo un buon risultato. Ma se lo spingo a costruire lui stesso il suo sapere, a esporre un contenuto dopo averlo rielaborato, probabilmente quell’allievo padroneggerà meglio l’argomento, perché lo ha fatto suo, con la sua creatività e il suo senso critico.

Con la didattica digitale, un allievo può esporre una lezione in un video, invece che ascoltarla e basta; può preparare una presentazione da condividere, invece di limitarsi a osservare una serie di slide e a prendere appunti.

La didattica digitale consente di familiarizzare con strumenti che fanno parte della quotidianità di un professionista. Può sembrare banale, ma un ragazzo che utilizza il tablet a scuola sarà in grado di inviare mail, di gestire un’agenda, di condividere dei contenuti in maniera rapida ed efficace, di scrivere su un documento di testo con una certa formattazione.

Non è per nulla scontato: poco più di dieci anni fa, quando ho iniziato a insegnare, non era affatto così. Mi è capitato di chiedere ai miei studenti di inviarmi parti della loro tesina di maturità e di scoprire che loro, in quinta superiore, non sapevano allegare un file a una mail o salvare in formato pdf invece che in Word.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Se è vero che la didattica digitale offre importanti vantaggi, non bisogna farne un mito incontestabile: non tutto ciò che è digitale, che è tecnologico, che tutti definiscono «al passo coi tempi» è automaticamente adeguato.

Dunque sì alla didattica digitale, no all’integralismo digitale.

Per integralismo digitale intendo l’idea che tutto lo studio e tutta la didattica debbano per forza passare attraverso un tablet, libri e appunti compresi.

Parliamo dei libri digitali, ad esempio. La mia esperienza con gli studenti dice che per alcune materie i libri digitali sono una risorsa: oltre al testo si trovano contenuti multimediali ed esercizi interattivi. Ma questi vantaggi non si estendono a tutte le materie. Se devo fare una versione di latino o aggiungere delle note a un componimento di letteratura, il libro digitale è inadeguato. Su un testo cartaceo posso lavorare, scrivere immediatamente, sottolineare, ritoccare, cancellare, commentare.

Si può fare tutto anche con un libro digitale, certo, ma con uno sforzo molto maggiore, con un maggiore dispendio di tempo e con una minore efficacia. Se poi il tablet è di dimensioni ridotte rispetto alle pagine di un libro cartaceo, si rischia anche di perdere la visione d’insieme del testo e di avere più difficoltà nell’orientarsi. Provare per credere.

Questa non è solo la mia esperienza, ma quella di tanti allievi che, quando devono studiare molti capitoli del manuale di filosofia, di storia o di scienze umane, stampano le pagine del libro digitale perché dicono che sulla carta si lavora meglio.

Il libro, inteso come oggetto fisico, resta dunque fondamentale anche nell’era digitale. E restano fondamentali altre attività che rischiano di essere tralasciate, come imparare testi a memoria e scrivere a mano.

Imparare testi a memoria allena a ricordare, a essere elastici, a possedere informazioni in maniera organizzata. Aiuta a gustare una poesia, a sentirne la sonorità, a percepire il peso e la leggerezza delle parole mentre si fissano in noi e le pronunciamo ad alta voce.

Ricordare date e fatti storici aiuta a percepire il tempo con la sua durata, a comprendere la profondità e la consequenzialità degli eventi. In rete c’è tutto, certo: date, fatti, testi, milioni di approfondimenti e curiosità. Ma avere tutte queste risorse a portata di un dito non significa sapersi orientare tra di esse, né padroneggiarle. Il nostro cervello ha bisogno di capire, di trattenere le cose più importanti e di lasciarne andare altre: imparare a memoria aiuta a farlo.

Anche scrivere a mano resta decisivo. La scrittura manuale è un’attività fondamentale e ineludibile per sviluppare l’intelligenza e la creatività. Questo non significa che non si debba imparare a scrivere su una tastiera o su un tablet velocemente: nel mondo del lavoro sarà fondamentale.

Ma i bambini hanno il diritto di imparare a scrivere a mano, con una grafia il più possibile chiara ed elegante, controllando il gesto grafico, apprendendo come fare schemi e sintetizzare contenuti su un foglio.

Se avranno imparato a fare bene tutto ciò, saranno favoriti anche un domani con gli strumenti digitali. Un po’ come un grande illustratore è capace di disegnare col computer e con un tablet, ma prima ha disegnato a lungo a mano, educando così la sua tecnica e sviluppando il suo stile.

Infine, non va dimenticato che utilizzare continuamente tablet e strumenti digitali anche a scuola comporta dei rischi. I nostri ragazzi già sono spesso attaccati a uno schermo nel tempo libero: fare pulizia mentale, allontanarsi da quegli strumenti, «disintossicarsi» per qualche ora è importante. Nella scuola dell’integralismo digitale ciò non è possibile nemmeno tra i banchi.

Il tablet ha tante app, che consentono di fare tante cose tutte insieme. È un po’ quello che accade a tutti: scriviamo al computer e intanto sentiamo una notifica di un messaggio sullo smartphone, e allora andiamo a vedere chi è e rispondiamo, a discapito della nostra concentrazione.

Un ragazzo che ha sempre un tablet in mano rischia di fare costantemente più attività nello stesso momento: prendo appunti e intanto costruisco un meme per far ridere i miei amici, leggo il manuale e intanto gioco, svolgo un esercizio e intanto chatto.

Come si può educare la mente a fare una cosa per volta, a rimanere concentrata a lungo? È assai difficile. Non a caso molti studenti hanno difficoltà a concentrarsi a lungo su un argomento impegnativo o a leggere per molto tempo di fila un romanzo classico, con uno stile elevato e un lessico inconsueto. Non è solo colpa loro: hanno in mano uno strumento potentissimo, che li attira con mille stimoli diversi; una moderna sirena dalla voce molto suadente.

Bisogna aiutare i nostri ragazzi a recuperare il senso del tempo, della pazienza, della dedizione completa a ciò che si fa e alle persone che si hanno intorno. Far loro capire che è bello ascoltarsi e ascoltare, approfondire, disconnettersi per entrare profondamente in contatto col qui e ora.

Possiamo stare bene anche se non riempiamo di chat e di like ogni interstizio del nostro tempo libero, anche sperimentando la noia di un’attesa, senza per forza rifugiarci subito nello schermo di un cellulare.

La didattica digitale dunque offre molte risorse, ma rimane sempre un mezzo e mai un fine. Il fondamento dell’insegnamento è la relazione che si crea tra un docente e uno studente, tra una guida e qualcuno che impara a camminare sempre più speditamente da solo. La didattica digitale può essere uno strumento, ma la differenza la fanno sempre l’insegnante che si spende con competenza e passione e lo studente che si mette in gioco con impegno. Non si può chiedere alla tecnologia di rivoluzionare la scuola: troppo comodo, troppo semplicistico. Sono le persone a fare le rivoluzioni, a raggiungere nuovi traguardi, ad aprire orizzonti.

Ben venga la didattica digitale, quando resta ciò che è: uno dei tanti strumenti nelle mani di insegnanti e allievi. Uno strumento non esclusivo, che sa convivere e integrarsi con i quaderni, le penne, i libri, le discussioni in classe e tutto il resto. Uno strumento che suscita il senso critico, invece di anestetizzarlo.

da “Insegnare non basta”, di Marco Erba, Vallardi, 2020

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