«Come nella commedia di Pirandello in cui i sei personaggi cercavano un autore, le truppe sparse della sinistra liberale e democratica italiana stanno cercando un leader a cui affidare un copione, un programma che possa far vincere il Paese, non solo una parte o una fazione politica. Auguri!». Si conclude così un ottimo saggio di Michele Salvati contenuto nell’e-book “Il futuro è della sinistra liberale” (Minerva Soluzioni Editoriali, Bologna, 2020) curato da Claudia Mancina che firma anche l’importante introduzione generale.
Si tratta di una piccola miniera d’oro ove si possono scovare “pepite” di ricerca, dall’economia all’Europa alla scuola, dentro un quadro ideologicamente compatto, quello che si richiama alla “sinistra liberale”, definizione che giustappone due termini antichi facendone una cosa nuova: e infatti a questo punto della tormentata vicenda della sinistra italiana effettivamente quella della “sinistra liberale” appare come l’unica definizione possibile, attuale e anzi carica di potenzialità, soprattutto se consideriamo l’aggettivo “liberale” non come edulcorativo ma al contrario come elemento forte di un rinnovato riformismo radicale, perché solo i radicali possono essere le risposte alla crisi globale di questo tempo. Infatti – scrive Claudia Mancina nella introduzione – «ci vogliono nuove idee e un nuovo disegno dell’ordine mondiale. Qui viene in campo la sinistra liberale, che troppo spesso indulge a una certa pigrizia aristocratica, così da essere facilmente identificata, nel discorso populista, con le odiate élite.
Bisogna, più che mai in questo momento nel quale avanza la minaccia della cosiddetta “democrazia illiberale”, dare battaglia, per difendere i diritti personali e politici ma anche per realizzare quella promessa di benessere che è al cuore del progetto democratico».
E ancora: «Nel contesto del dibattito politico-culturale europeo, questo significa certamente collocarsi a sinistra, ma rifiutarsi di tornare al paradigma novecentesco, espresso dalla triade classe-partito-Stato, che è stata propria, si badi bene, non solo della tradizione comunista ma anche di quella socialdemocratica».
Se questo è il quadro di riferimento ideologico, siamo davanti al recupero di culture mai amalgamatesi con il cuore del progressismo italiano (John Rawls) ma anche all’esplicita volontà – dichiarata da Mancina – di considerare chiusa per sempre la fase eroica della Terza via; e dunque stucchevole – diciamo noi – un certo modo tutto italiano di perpetuare in modo vecchio la contrapposizione fra sinistra radicale e riformisti, come se le due “squadre” non avessero perduto entrambe il big match contro il populismo e il sovranismo.
Ma tornando ai Sei personaggi in cerca d’autore, il problema di questa fase (purtroppo) non sembra ridursi solo alla ricerca di un leader, e uno solo. Azzarderemmo anzi che dopo il crollo dell’esperienza iper-leaderistica di Matteo Renzi potrebbe tornare in auge il ruolo dell’antico intellettuale collettivo di gramsciana memoria, un partito guidato da più “centri” e da una molteplicità di intelligenze. Scrive Salvati, mettendo i piedi nel piatto: «Solo un grande partito può disporre delle risorse e fornire gli incentivi necessari a mobilitare un ampio numero di iscritti, simpatizzanti ed esperti intorno alla costruzione di un programma per l’Italia. Dunque l’egemonia nel Partito democratico di una visione di sinistra liberale è l’obiettivo prio-ritario che dovrebbero porsi tutte le forze – laiche, socialiste, cattoliche – che trovano quella visione persuasiva. Tutte forze convinte che, dopo l’ondata populista che ha travolto gli elettori, verrà il momento della competenza, la domanda di un governo che sappia governare, che non prometta miracoli impossibili ma sfrutti le occasioni disponibili per migliorare le condizioni di vita dei cittadini e degli immigrati e per invertire la tendenza al declino».
La questione è di bruciante attualità perché siamo dentro una fase molto strana (non sapremmo quale altro aggettivo usare) del riformismo politico italiano, con un Pd sempre rallentato dalla tendenza a non osare, con piccole forze impantanate in una minorità legata anche ad aspetti personali e psicologici e con una sinistra-sinistra marginalissima e afona, sicché viene da porsi la domanda: chi ha il coraggio di prendere un’iniziativa politica seria a partire non dai ruoli delle persone ma dai famosi contenuti? Chi farà (se lo farà) il primo passo per una ricomposizione dei riformismo politici? O prevarrà il tran tran del governismo e dei rinfacciano polemici?
C’è un vasto mare aperto. Chi ha le risposte in tasca nell’era del Covid e della più grande crisi economica (ma anche morale, perfino psicologica) di sempre? Bisogna sapere che la transizione a una nuova normalità (qualunque cosa voglia dire) sarà lunga, dolorosa, metterà a dura prova coscienze e intelligenze: sul “che fare?” si interroga con la meticolosità che gli è propria Tommaso Nannicini che indica nel suo scritto come e cosa si può “pianificare” (un verbo che torna d’attualità) durante questa transizione, una gigantesca sfida per la “politica debole” di questo tempo più intriso di Dpcm che di strategia a lungo raggio; e poi Enrico Morando, per il quale non su scappa: o si cresce o è il declino (seguono una serie di analisi e proposte concrete, a partire da una profonda riforma del fisco).
Nel volume vanno segnalati i contributi di Alberto De Bernardi, una serissima ricostruzione delle “ragioni” dell’Europa; di Roberto Maragliano sulla scuola, molto critico: «L’oggi della sinistra, con le tante energie spese per dequalificare e osteggiare i contenuti dell’acculturazione considerata informale e caotica, quella che le dinamiche della comunicazione sociale hanno messo in scena nella seconda metà del Novecento, e senza che ci si interroghi sulla natura del successo che hanno incontrato, denuncia dunque una drammatica carenza di strumenti concettuali che le permettano di individuare i limiti stessi della sua visione. Che, poi, è quanto le fa velo per una più adeguata e reali-stica interpretazione di ciò che avviene ed è avvenuto nell’universo circostante il mondo scolastico»; di Antonio Preiti sul tema del modello-Partito, che suggerisce la suggestiva figura del partito-Unicorno: «una grande innovazione organizzativa, con un cruciale ritorno al senso della politica vi è un uso profondo della tecnologia, che oggi riesce a far comunicare le persone più facilmente, a diffondere le idee in maniera veloce e a generare in maniera più cristallina un potere anche per la singola persona che vive in organizzazioni molto grandi». La ricerca continua, mentre la dinamica politica pare ferma.