Shock energeticoIl potere geopolitico del XXI secolo è verde

Il passaggio a un nuovo ordine mondiale è tanto importante (e necessario) quanto complicato. La transizione Green è vista con sempre maggiore simpatia, ma nasconde anche qualche rischio che non possiamo permetterci

Da un po’ di tempo l’opinione pubblica, così come governi e investitori, manifesta una sensibilità crescente al tema del cambiamento climatico. Come naturale conseguenza, l’industria dell’energia pulita prende piede e i mercati dei capitali si muovono in questa direzione, guardando con sempre più diffidenza ai combustibili fossili.

L’uso di energia pulita è aumentato del 45%. Si tratta di una scelta non solo lungimirante ma anche economicamente invitante: con i tassi di interesse vicini allo zero, i decisori politici sono spinti a investire in piani di infrastrutture verdi così come in progetti di decarbonizzazione.

Non è casuale se il candidato democratico alle elezioni americane Joe Biden ha annunciato di voler spendere ben 2 trilioni di dollari per decarbonizzare l’economia americana. E non lo è nemmeno il fatto che anche il presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen durante il suo primo discorso ufficiale sullo stato dell’Ue ha confermato il proposito di ridurre entro il prossimo decennio il 55% le emissioni di gas serra (rispetto ai livelli del 1990). Per raggiungere questo obiettivo l’Ue ha stanziato il 30% del suo piano di ripresa Covid-19 da 880 miliardi di euro.

A livello mondiale l’energia rinnovabile come quelle solare ed eolica potrebbe aumentare dal 5% dell’offerta attuale al 25% nel 2035 e quasi del 50% entro il 2050. «Il sistema energetico del 21° secolo – si legge sull’Economist – promette di essere migliore dell’era del petrolio: migliore per la salute umana, più stabile politicamente e meno volatile economicamente». Stabile politicamente perché l’offerta sarà diversificata tanto geograficamente quanto tecnologicamente. Inoltre, i paesi consumatori che una volta ricercavano la sicurezza energetica affidandosi alla politica dei produttori di petrolio, potrebbero iniziare a guardare in direzione di una regolamentazione ragionevole della propria industria energetica. Infine, il sistema del futuro povrebbe essere meno volatile dal punto di vista economico perché i prezzi dell’elettricità, ad esempio, verrebbero determinati non da pochi (grandi) attori ma da una concorrenza eterogenea e dal graduale aumento di efficienza del sistema stesso.

I rischi della transizione verde

Tuttavia questo cambiamento comporta dei rischi. Il timore di assistere a una transizione mal gestita sussiste. Innanzitutto, questa potrebbe concentrare il controllo della filiera verde in Cina. L’Economist a tal proposito prospetta la posizione di una Cina autocratica che potrebbe guadagnare influenza sul sistema di potere globale grazie al predominio nella produzione di componenti chiave e nello sviluppo di nuove tecnologie “green”. Oggi le aziende cinesi producono infatti il 72% dei pannelli solari mondiali, il 69% delle batterie agli ioni di litio e il 45% delle turbine eoliche. «Controllano anche gran parte della raffinazione di minerali fondamentali per l’energia pulita, come il cobalto e il litio. Invece di un “petrostato”, la Repubblica popolare potrebbe diventare un “elettrostato”».

Questa transizione, poi, potrebbe essere molto, troppo, lenta (non riuscendo, così, ad affrontare il cambiamento climatico). E, se disordinata, potrebbe aumentare l’instabilità politica ed economica nei “petro-stati” provocando delle turbolenze geopolitiche. Man mano che la domanda di petrolio diminuisce, questi paesi potrebbero dover fronteggiarsi per rimanere sul mercato: una battaglia che sarà vinta da chi proporrà «il greggio più economico e pulito».

 La fine del petrolio è vicina?

Quando il Covid-19 ha colpito l’economia globale all’inizio di quest’anno, la domanda di petrolio è scesa di oltre un quinto e i prezzi sono crollati. L’OPEC – l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio – che sta celebrando il suo 60° compleanno avverte che la domanda quest’anno diminuirà più rapidamente di quanto previsto e si riprenderà più lentamente.

Oggi i combustibili fossili sono la fonte ultima dell’85% dell’energia. Ma questo sistema è sempre più considerato sporco e conduttore di instabilità politica e volatilità economica: si tratta, infatti, di un mercato colpito da un cartello irregolare. «Non c’è da stupirsi se il prezzo è oscillato di oltre il 30% per 62 volte dal 1970. In ogni modo, l’uso di petrolio e carbone diminuirà, ma la richiesta di un gas naturale più pulito rimarrà centrale. E i “petrostati”, in tutto questo, se non vorranno vivere una importante crisi economica, dovranno cercare di riformarsi»..