La scuola che (non) riparteFragili e sottopagati, gli insegnanti iniziano l’anno scolastico nel modo peggiore

L’Italia è uno dei pochi Paesi europei in cui ci sono contemporaneamente salari bassi e docenti più anziani (il 52,9% alle elementari, il 56,7% alle superiori) Non è un caso se sono molti i professori immunodepressi o con malattie pregresse che hanno chiesto più domande di esonero del previsto

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A tornare sui banchi in questo settembre non saranno solo bambini un po’ frastornati, forse anche impauriti e disorientati dopo quasi 7 mesi di vacanze vere e lontananza forzata, ma soprattutto i loro insegnanti, un corpo enorme, maggiore del milione, eppure spesso sconosciuto e poco visibile mediaticamente in proporzione alle proprie dimensioni. Privilegiati (“fanno 3 mesi di vacanze”, “sono illicenziabili”) per alcuni, dimenticati e bistrattati per altri.

Una cosa è sicura, sono vecchi, i più vecchi in Europa, e probabilmente nel mondo. E questo non può non avere conseguenze.

Siamo il Paese in cui vi sono più maestri e professori over 50, il 52,9% alle elementari, il 56,7% alle superiori, dove ci supera solo la Grecia, di pochissimo.

La storia è completamente diversa in altri Paesi anche vicini, anche simili al nostro, come la Francia e la Spagna, dove alle scuole elementari sono rispettivamente solo il 33,3% e il 22,5% i più anziani, addirittura il 15,7% nel Regno Unito.

A essere da record è la fascia tra i 60 e i 64 anni, che in Italia rappresenta il 13,1% del corpo insegnanti alla scuola primaria, un professore su 6 alle superiori, molto più che in tutti gli altri Paesi.

Alcuni anni fa anche la Germania aveva una proporzione di docenti in là con gli anni simile a quella italiana, almeno alle elementari, soprattutto se parliamo di over 55 e over 60. Ma se nel tempo in Germania questa percentuale è scesa, in Italia è addirittura cresciuta. Quelli sopra i 55 anni erano nel 2013 rispettivamente il 32,4% e il 31,8%, cinque anni dopo vi era un gap di quasi 9 punti tra i due Paesi. Anche altrove, in linea con l’invecchiamento demografico vi è un lieve incremento degli insegnanti più anziani, ma si parte da, e si arriva a, livelli decisamente più bassi.

Ci sono, dobbiamo dirlo, elementi di ottimismo, in particolare per quanto riguarda le scuole superiori. A fronte di un aumento dei sessantenni diminuiscono più che proporzionalmente i 50enni, e sono cresciuti i 30enni, la cui percentuale appare triplicata in pochi anni.

Sono ancora però numeri a una cifra, e troppo piccoli. All’appuntamento con il Covid19, nel 2020, si sono presentati insegnanti ancora anziani, e non ci si può meravigliare se statisticamente tra loro i “fragili”, con malattie pregresse, gli immunodepressi, siano così tanti, e le domande di esonero dall’insegnamento siano arrivate in numero superiore al previsto.

Vi è però anche un altro elemento, aggiuntivo rispetto a età e salute. Non si tratta delle aule affollate, che a causa del calo demografico sono di meno, e neanche del numero di docenti, cresciuto anche più di quello di altri dipendenti statali.

Parliamo invece degli stipendi. E in particolare di quelli al top della carriera, ovvero solitamente alla fine di questa. Alle elementari con un salario medio annuo di 44.468 dollari PPP (considerando quindi il potere d’acquisto) l’Italia era in coda tra i Paesi OCSE, molto dietro la Spagna, a 57.983, la Francia, la Germania, in cui si arriva quasi a 80 mila. Non cambia molto alle medie e alle superiori.

Si tratta di quanto viene pagato proprio ai tanti docenti over 55, presumibilmente, in particolare a quelli con il massimo di anni di carriera.

È ovvio, parliamo di grasso che cola in confronto con quanto prende un 30enne precario, non ci sono dubbi. I confronti che questi insegnanti fanno però non includono i 30enni, e neanche i 40enni, tantomeno i precari del settore privato. Il probabile senso di frustrazione nasce dal paragone con i coetanei che svolgono lo stesso lavoro nel resto d’Europa, e in particolare è probabilmente dovuto a una progressione dei salari che a fine carriera si fa più lenta che in altri grandi Paesi, in particolare di quelli come Francia e Spagna in cui pure vi sono stipendi minori che in Germania o Paesi Bassi. È singolare il fatto che in Francia, dove gli insegnanti prendono sostanzialmente come in Italia fino a 15 anni di anzianità, si può invece arrivare, per ogni ciclo di studi, a massimi ben superiori, anche del 20%.

L’Italia si ritrova a essere quindi tra quei Paesi in cui vi sono contemporaneamente meno salari minori e docenti più anziani. Anzi, si nota una curiosa correlazione tra le due caratteristiche, tra una età avanzata degli insegnanti e il livello ridotto degli stipendi. Quasi come se le due cose fossero collegate?

Forse è più difficile concedere aumenti quando la percentuale di docenti over 50, quindi più “costosi” è maggiore? O forse perché laddove si investe maggiormente in istruzione, come accade nei Paesi anglosassoni e nordici, si spende di più sia in assunzioni (di giovani, evidentemente) che in salari più alti, che servono anche ad attirare le migliori competenze, e a non rendere l’insegnamento solo un rifugio dalla disoccupazione.

Ci ritroviamo quindi all’inizio di questo anno scolastico delicatissimo con importanti problemi strutturali: un corpo docenti stanco e spesso demotivato, cui viene chiesto un supplemento di attenzione e sacrificio.

Probabilmente questo sarebbe stato accolto meglio da insegnanti più giovani, meglio pagati, se si fosse voluto investire su di essi anni fa.

Una lezione, è il caso di dirlo, da imparare per il futuro, analoga a quella che l’emergenza ci ha dato sulla sanità.