Una mazzata. Un colpo inaspettato. Una delusione. Più o meno sono le parole con cui proprietari e gestori di locali e circoli culturali hanno accolto la decisione contenuta nell’ultimo Dpcm di chiudere la ristorazione alle 18:00. Un danno economico, certo. Ma anche uno stop forzato che arriva al termine di un anno difficile e soprattutto – la beffa – dopo tutti gli investimenti fatti per garantire la sicurezza dei clienti, rispettando tutte le misure di distanziamento e di trasformazione degli ambienti.
Il risultato? Si chiude di nuovo. «Siamo arrabbiati e demoralizzati», sintetizza Matteo Motta, dello storico Bloom di Mezzago, vicino a Monza. È il locale dove si sono esibiti (deu volte) i Nirvana quando ancora nessuno li conosceva, dove sono nati gruppi italiani come Punkreas e Subsonica.
Centro culturale nato alla fine degli anni ’80 che ha interpretato lo spirito delle leggi anti-Covid con rigore: «Abbiamo ridotto la sala concerti: da 450 posti a 80. Il locale cinema è passato da 75 a 30. Abbiamo seguito alla lettera le normative, anche buttando giù pareti, ricavando nuovi spazi, regolando entrate e uscite». Per l’estate «abbiamo creato un secondo bar per evitare di affollare il primo. Per gli artisti un backstage apposito». Addirittura, pregavano i clienti «di scaricare Immuni».
Per venire incontro a questa stagione ribaltata, «anche gli artisti hanno scelto di ridursi i cachet, o di suonare gratis», perché nonostante tutto, «siamo andati avanti in modo non sostenibile a livello economico». E il tutto senza che lì ci sia mai stato un caso, un episodio di contagio, e senza un controllo. «Perché dobbiamo chiudere?»
La domanda rimane sospesa nell’aria. Risuonano anche altre parole. C’è chi parla di «lockdown mascherato», di «demonizzazione», di mancanza di «coerenza» nei provvedimenti. Adem Arnautovič, direttore artistico del Belleville Rendezvous, a Paratico (Brescia), locale affacciato sul lago d’Iseo dove si può cenare e ballare, ha un solo commento possibile: «il silenzio assoluto».
Durante l’estate si era occupato della rassegna dei concerti, «il giovedì sera». Per evitare caos, «l’orario era stato anticipato alle 21:30», cambiando le abitudini dei clienti. «Si sono adattati subito. Anzi: si è visto che pochi mesi di lockdown hanno risvegliato la fame di concerti dal vivo, un contesto che prima era considerato saturo». Regole più stringenti rispettate e nessun problema. Eppure si chiude.
«Non posso negare che la situazione sia grave, che il numero dei contagi aumenti e che le corsie si stiano riempiendo. Per me lamentarsi è imbarazzante». Rimane il problema della coerenza del provvedimento, se non della sua reale efficacia. Per Mirco Assandri, che si occupa dell’organizzazione dei concerti del circolo Arcipelago di Cremona, la decisione del governo è «sproporzionata» e va «a distruggere una filiera che aveva già sofferto e che, in generale, non si regge su grandi numeri».
Il punto è che «i dati ci dicono – lo dice Agis – che questi non sono posti pericolosi, eppure si chiude». Tutto ciò «che rappresenta il post-ufficio, cioè quello che si fa quando si smette di lavorare, è considerato superfluo, non dà indotto o guadagni. La cultura è stata demonizzata, è diventata “movida”. E chi lavora in questo contesto, penso ai fonici, ai tecnici, cosa faranno? Andranno a lavorare nei supermercati, dove il rischio adesso è maggiore che nelle sale da concerto». Intanto, Arcipelago, con tutte le sue attività culturali e di aggregazione, per ora chiude.
Per tutti i circoli culturali (Arci, ma anche Acli) la situazione non è nemmeno chiarissima. Come spiega Simone Grillo, del circolo Gagarin di Busto Arsizio, «siamo in un limbo. Secondo le disposizioni, non è chiaro se dobbiamo chiudere o no». In quanto circolo culturale la risposta sì. Ma in quanto fornitori di servizi di ristorazione (bar e ristorante) forse c’è uno spiraglio per restare aperti, fino alle 18, per i soci tesserati.
«Ne abbiamo discusso e ci sono interpretazioni diverse. Aspettiamo indicazioni più chiare dal governo», che potrebbero arrivare «in poche ore» o in qualche giorno.
Nel frattempo è tutto sospeso. Anche qui, la parola chiave è «mazzata», perché «noi avevamo già chiuso i battenti a febbraio, quando si vedeva che la situazione si stava aggravando. Alcuni ci avevano perfino dato dei pazzi. Nei mesi scorsi abbiamo riaperto in sicurezza, abbiamo fatto quello che si poteva fare, con responsabilità e senso del dovere. Senza mai critiche – o meglio solo una, relativa alla decisione del coprifuoco alle 23, a nostro avviso un orario inefficace – né lamentele».
Al Gagarin hanno accompagnato la stagione estiva con nuovi orari, nuovi ambienti, nuova organizzazione. I clienti erano contenti e si erano adattati con coscienza. E adesso si chiude. Anzi, no. Non si sa nemmeno.
A Bergamo, che nei primi mesi del 2020 è stata al centro della pandemia, la situazione non è diversa. Il circolo culturale Ink ha elencato, sui social network, i 54 eventi della stagione estiva, durante i quali «abbiamo sempre adottato ogni presidio di sicurezza indicato». C’è stato solo «un positivo», per cui «abbiamo chiuso volontariamente un intero weekend per sottoporre tutto il nostro personale a tampone e assicurarci che la situazione fosse sotto controllo», il tutto «senza aver ricevuto alcuna indicazione da parte delle autorità». Stavolta ci si dovrà fermare e «reinventare una volta di più».
Mentre l’Edoné, altro locale di aggregazione e concerti, aveva appena finito la programmazione del calendario per il mese di novembre, «ed è saltato tutto», spiega Maddalena Compagnoni.
«È demoralizzante», dice, citando l’altra parola-refrain che gira in tutto il settore, insieme al motivo «dei limiti rispettati, delle concerti in sicurezza» che sono stati annullati. Durante l’estate, con la riapertura e la riorganizzazione, «la gente anzi era contenta di come facevamo rispettare le regole, non solo non si lamentava: ci faceva i complimenti».
Adesso «dovremo puntare al target del pomeriggio, le famiglie e i lavoratori che vengono a pranzare qui». Il secondo target, quello serale, è perso. «Dopo l’annuncio del coprifuoco avevamo cominciato a temere che altre chiusure fossero nell’aria. Speravamo di no. Speravamo non così presto». Ma il colpo è arrivato, ed è stato pesante: non si sa quanto, ma lo si vedrà tra un mese. Se va tutto bene.