Poteva essere una storia di integrazione, un esempio da incoraggiare. E invece al 40enne libanese è stata negata la cittadinanza tedesca perché si è rifiutato, per motivi religiosi, di stringere la mano a una donna.
L’uomo, arrivato in Germania nel 2002, ha studiato medicina e lavora in una clinica da anni. Nel 2012 aveva avviato le pratiche per ottenere la cittadinanza per naturalizzazione, firmando anche una dichiarazione di lealtà al Paese che lo ha accolto dove rifiutava posizioni estremiste. Con la lingua o ha problemi, conosce i fondamenti storici e costituzionali e ha superato, con il massimo dei voti, il test. L’unico intoppo – e qui la storia assume il sapore della beffa – arriva alla fine, quando al momento della consegna del certificato di cittadinanza si rifiuta di stringere la mano al funzionario incaricato, una donna. È bastato quello: il documento è stato ritirato subito e la richiesta di cittadinanza rifiutata.
Il fatto risale al 2015. L’uomo ha fatto ricorso, la questione è finita nelle mani di giudici e avvocati fino alla sentenza della Corte amministrativa del Baden-Württenberg di venerdì 16 ottobre 2020, con cui i magistrati gli hanno dato torto (confermando la precedente decisione della Corte di Stoccarda, in primo grado). Secondo loro, chi non dà la mano a una donna in nome «di una concezione fondamentalista della cultura e dei valori», cioè perché la considera «un pericolo e una tentazione sessuale» di fatto rifiuta di integrarsi nel tessuto sociale tedesco.
A nulla sono servite le repliche dell’uomo, che prima ha dichiarato di averlo fatto in segno di rispetto per la sposa, e poi ha aggiunto che non stringe la mano nemmeno agli uomini (in segno di parità, sembrerebbe, ma per i giudici sarebbe stata una dichiarazione «tattica»). Non è così: per la Corte avrebbe, nei fatti, rifiutato il principio di uguaglianza tra i generi, custodito dalla costituzione e avrebbe anteposto «le idee salafite sui rapporti e le gerarchie tra uomini e donne» alle norme sociali tedesche, ignorando un rituale di saluto non verbale radicato da secoli (se non millenni) nella cultura occidentale, che addirittura in certi contesti assume anche un valore legale (la chiusura dei contratti). Darsi la mano è un gesto «che dà forma al nostro vivere comune», scrivono nella sentenza. E continuerà a farlo nonostante le limitazioni sanitarie imposte dalla pandemia. Il virus passerà, sembrano sottintendere, ma la stretta di mano no.
Il caso comunque non è finito: l’uomo può sempre fare ricorso per il terzo grado alla Corte Amministrativa Federale, possibilità che gli è riconosciuta vista l’importanza della situazione.
Nonostante l’aspetto aneddotico della vicenda, il caso va a sollevare alcune questioni complicate, che vertono sui valori fondamentali dell’essere tedesco, sull’importanza della tradizione e la difficoltà dell’incontro tra culture.
Il fenomeno del separatismo islamico, come lo ha definito (e inquadrato) il presidente francese Emmanuel Macron, è un problema serio. Sono i luoghi (anche astratti) del Paese in cui le leggi nazionali risultano secondarie a quelle religiose, e non succede solo in Francia.
Non è solo la vicenda recente del professore decapitato per aver mostrato le vignette di Charlie Hebdo su Maometto. In Danimarca ha fatto scalpore il caso del divorzio fatto secondo le leggi della sharia, che limitava le libertà della donna nella coppia e si sostituiva alla normativa del Paese. Ora la Germania si esprime (e si esprimerà) su una stretta di mano non data.
Il problema è quello che c’è dietro – la subalternità femminile, il distanziamento tra i generi, l’idea della contaminazione – cioè valori da condannare, certo. Resta da capire se saranno anche da considerare non-tedeschi.