Pensiero unico antiliberistaDestra, sinistra e sovranisti parlano una sola lingua: quella qualunquista dei Cinquestelle

Nazionalizzazioni, deficit pubblico, politica industriale, difesa dei “campioni nazionali” sono diventati i punti centrali di ogni programma politico. Nel Partito democratico si continua a festeggiare il ritorno a una cultura socialista, senza vedere come Salvini, Meloni e prima ancora Di Maio ne avessero già da tempo saccheggiato i magazzini ideologici e popolarizzato il linguaggio

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Nel libro “Contro il sovranismo economico” di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro si illumina meritoriamente un fenomeno, che la pubblicistica tende a tacere e a occultare e che è rappresentato dalla convergenza della destra sovranista e della sinistra populista contro la cultura liberista e a favore di politiche stataliste, declinate sia nel senso dell’intervento diretto dello Stato nelle attività economiche, sia in quello della direzione pubblica, attraverso scelte di spesa e di regolazione, dell’iniziativa economica privata.

Questa convergenza è particolarmente evidente in Italia, dove lo scontro tra la maggioranza demo-populista e l’opposizione sovranista mostra i caratteri di uno scontro di civiltà, ma di fatto, al netto di differenze di stile e di comunicazione, le questioni del rapporto tra Stato e mercato e delle politiche di bilancio vedono, a destra come a sinistra, prevalere davvero un “pensiero unico” antiliberista e antirigorista, consonante anche nei motivi retorici.

Nazionalizzazioni, deficit pubblico, politica industriale, difesa dei “campioni nazionali”, lotta contro l’austerità: destra e sinistra parlano una sola lingua, paradossalmente coincidente con la koinè qualunquistica del Movimento cinque stelle, punto fermo di tutti i governi e guida di tutti i processi politici della legislatura.

È quindi curioso vedere come nel Partito democratico si continui a festeggiare la liberazione dall’ipoteca liberale sulla cultura economica della sinistra e il ritorno a quella socialista, senza vedere come la destra brutta, sporca e cattiva di Salvini e Meloni e prima ancora i Cinque Stelle di Di Maio ne avesse già da tempo saccheggiato i magazzini ideologici, popolarizzato il linguaggio e conquistato il popolo sensibile alla seduzione del “voto contro”, alla rivolta contro il rigore europeo e alla denuncia del carattere imperialistico della filosofia mercatista, che usurpa gli stati e i cittadini della loro sovranità economica, asservendoli agli interesse del “grande” capitale internazionale.

Ai Felice, ai Provenzano e ai Visco che affermano, contro Giavazzi e Alesina, che il liberismo non è mai stato di sinistra bisognerebbe fare presente che certamente non è più neppure di destra, e che appare abbastanza grottesco continuare a battagliare contro i fantasmi di Hayek e di Friedman come se essi fossero i padri spirituali di una destra mondiale, che le convulsioni americane, le dinamiche demografiche globali e la rinazionalizzazione dei processi politici europei hanno reso molto diversa da quella costruita dalla rivoluzioni conservatrici degli anni ’80. La destra oggi, cari compagni, non somiglia ai vostri nemici giurati – a Reagan, alla Thatcher – ma assomiglia proprio a voi, visti allo specchio, dove la destra diventa sinistra e viceversa.

Nella storiografia accomodata dei censori della terza via blairiana (Blair è un altro immancabile feticcio polemico “anti-mercatista”) nell’ultimo mezzo secolo le destre trionfano sul fallimento delle promesse di uguaglianza sociale e le sinistre capitolano arrendendosi alla prevalenza del mercato.

Si tratta di una lettura che oltre a essere semplicistica (la sinistra non è andata in crisi per avere ripudiato il socialismo, ma perché è andato in crisi il socialismo e non solo quello cosiddetto reale) non si capisce dove possa incasellare, ad esempio, Clinton e Obama, per non parlare di Biden – che Dio lo preservi e l’assista – se non dalla parte opposta a quella che la vera sinistra dovrebbe presidiare e che al momento è però occupata da una assortita compagnia di nazionalisti, statalisti e protezionisti un po’ (tanto) razzisti.

Insomma, i conti non tornano. A meno di non supporre che anti-liberismo e nazionalismo siano co-implicati culturalmente in modo molto meno casuale di quanto si possa immaginare e che la fortuna planetaria dell’ideologia no global (partita dai fricchettoni di Porto Alegre e finita alla Casa Bianca aranciocrinita di Trump), non sia davvero destinata a riscrivere la mappa ideologica della politica mondiale in modo un po’ meno scontato di quanto immaginano i nostalgici della pur gloriosa scuola della Frattocchie. E in questa mappa un po’ impazzita è proprio la sinistra-sinistra, non quella (absit iniuria verbis) liberale a essere finita a letto col nemico.

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