Eroismi gastronomiciRiale: come mangiano i Walser

La popolazione di origine vallese che nel 1200 si allontanò dalla Svizzera ha colonizzato questo lembo di terra in alta quota, dove scovare alpeggi speciali: quelli di uno dei più rari formaggi italiani, il Bettelmatt

La strada per arrivare a Riale sembra non finire mai. Da Domodossola si inerpica verso il Piemonte più estremo, quello dell’alta Val Formazza, terra di insediamenti Walser, di alpeggi e di natura preservata dove l’aria è più pura e il silenzio resta il rumore più assordante.

Qui, tra i bramiti stanziali dei cervi che in questo periodo sono in amore, si trova uno dei borghi più affascinanti delle Alpi Lepontine, un luogo dove la comunità conta e, come in tutti i paesi di montagna, fa la differenza.
Riale, con i suoi 1780 metri di altitudine incastonati tra le alpi svizzere, è il punto di partenza di numerose escursioni: ricchissima di specchi d’acqua che si incontrano superati i 2000 metri d’altitudine, è sormontata dalla diga di Morasco che serve come bacino per la Cascata del Toce che, con i suoi quasi 150 metri, è tra quelle con il salto più alto d’Europa.

E se qui in inverno si viene per i copiosi metri di neve che, vista l’altitudine, scendono abbondanti imbiancando i 12 km di pista dedicati allo sci di fondo, Riale è anche il punto più settentrionale del Piemonte amato dagli appassionati gourmet.
La cucina tipica di questa zona parla infatti il linguaggio degli insediamenti Walser ossia di quella popolazione di origine vallese che nel 1200 si allontanò dalla Svizzera per colonizzare questo lembo di terra in alta quota. Ma Riale è anche (e soprattutto) terra di alpeggi speciali: quelli di uno dei più rari formaggi italiani, l’eroico Bettelmatt prodotto esclusivamente da otto produttori che in estate si trasferiscono nei sette alpeggi estivi presenti oltre i 2000 metri di queste vallate.

La produzione di nicchia si aggira sulle 5600 forme all’anno: ecco perché alcuni lo chiamano “la Rolls Royce dei formaggi”, ambita ma purtroppo non per tutti. Lo sa bene il trentatreenne Gabriele Scilligo che all’Alpe Toggia gestisce un centinaio di capi di Razza bruna e Pezzata rossa. Da ogni animale, nel pieno della stagione, ottiene tutti i giorni una dozzina di litri di latte con cui realizza all’incirca trenta forme di Bettelmatt, formaggio a latte crudo intero, che può essere venduto dopo un minimo di sessanta giorni di stagionatura. Ma in Valle i giovani che si dedicano all’allevamento e all’agricoltura sono davvero tanti: tra loro ci sono Silvia e Lara Pennati che, insieme alla famiglia, portano avanti in Frazione Valdo l’Azienda Formazza Agricola. Il meglio della loro produzione lattiero casearia (formaggi, yogurt, latte e gelati) insieme a tante altre eccellenze del territorio sono in vendita nel locale aperto a Domodossola dove la famiglia Pennati propone degustazioni di formaggi e salumi, ma anche ottimi piatti della tradizione come gli gnocchi burro e salvia realizzati con le patate coltivate da Dario Piumarta nella sua Häpfla Frütt di Formazza.

In undici campi situati tra i 1200 e 1700 metri di quota, Piumarta coltiva oltre quindici cultivar diverse di patate autoctone o legate alla tradizione Walser.
Tra queste ci sono: la Formazza di media pezzatura, con pasta gialla e buccia rossastra ideale per la preparazione di purè e gnocchi; la Walser, medio picccola, a pasta gialla e buccia gialla non è farinosa ed è adatta per le insalate e la cottura in forno; la Occhi Rossi “Roti öigjé” medio grande, a pasta gialla e buccia gialla con occhi di colore rosso che, questa volta farinosa, è perfetta per la frittura.

È invece il trentenne Edoardo Patrone, insieme alla moglie Stella, a recuperare vigne di persone anziane per dare continuità alla produzione vitivinicola della Val d’Ossola: dai 28 terreni che hanno una estensione totale di cinque ettari, dal 2017 produce vini locali come quel Prünent Stella, ecotipo autoctono di Nebbiolo, le cui prime tracce risalgono al 1300. Vetrina di questi e altri prodotti in quota è Sapori Walser, il negozio di cose buone che Gianluca Barp ha aperto a Riale all’interno del suo Albergo Ristorante Aalts Dorf dove una cucina semplice valorizza i prodotti del territorio come quella Prata Häpfla preparata con patate di montagna, Bettelmatt, cipolle e un po’ di burro.

Ma la vera tavola gourmet di Riale si chiama Locanda Walser Schtuba: qui lo chef Matteo Sormani sta recuperando antiche ricette della cucina povera dei Walser sperimentando nuovi abbinamenti. Ma Sormani è anche fine maestro dei lievitati (si è specializzato con Renato Bosco e Rolando Morandin) ed ecco che al Walser Schtuba non mancano mai un ottimo pane, la pizza in teglia servita nel bistrot e, a Natale, il panettone “di alta quota”, forse tra i più alti d’Italia.

Oltre ai classici menù, tra cui spiccano piatti come Trota crème fraiche e verza, Zuppa di cipolle, speck croccante e olio all’aglio o Stracotto di manzo, polenta di Beura ed erbette, da quest’inverno Sormani proporrà un interno menù a base di cervo. Una scelta ponderata e dovuta dal fatto che lo chef ha preso parte a un progetto di “filiera eco-alimentare delle carni di selvaggina” avviato proprio a Riale per risolvere il grande spreco di carni selvatiche che spesso, per mal conservazione, non possono essere cucinate, ma anche per rendere le comunità locali più sensibili rispetto ai danni che l’incremento esponenziale di queste specie animali causa agli ecosistemi montani. Ecco dunque l’importanza della valorizzazione di questa carne e dell’educazione dell’intera filiera (dal cacciatore al macellaio), per permettere ai ristoratori di portare in tavola un prodotto di qualità e di poterlo proporre in diverse versioni. «In particolar modo crudo o poco cotto, che è il modo migliore per gustarlo – spiega Sormani – e pratica prima impossibile essendo privi di una certificazione sicura dell’intera filiera. Questo progetto – prosegue – permette anche di cucinare parti dell’animale mai usate come gli stinchi (per l’ossobuco di cervo), la lingua, il collo, il fegato (per fare un paté). Centrale a questo scopo – conclude – è la formazione dei cacciatori e dei trasformatori del prodotto, al fine di promuovere sistemi di economia locale competitivi nel settore agro-alimentare e anche turistico».