Il voto elettronico è un’idea del Movimento Cinque Stelle, non poteva essere altrimenti. È osteggiato, almeno a parole, dal restante quadro politico italiano, anche all’interno della maggioranza di governo. Ma a nessuno sembra interessare più di tanto che «un comitato di 13 persone sta valutando come voteremo in futuro e se l’Italia potrà adottare il voto elettronico», come scrivevamo giovedì.
Parlando con Linkiesta, la deputata Valentina Corneli dice: «Adesso la proposta si è un po’ arenata a causa della pandemia. Ma il nostro obiettivo è ancora quello di permettere a tutti di votare online: penso ai vantaggi per gli studenti fuori sede o chi ha difficoltà a spostarsi. Abbiamo studiato il modello funzionante dell’Estonia e, se replicato in maniera sicura, può essere adottato anche qui».
A proposito di sicurezza, il voto elettronico è stato sperimentato in diverse tornate elettorali in più Paesi: tutte esperienze decisamente infelici che hanno convinto gli Stati a fare un passo indietro. È un sistema di voto ancora facilmente manipolabile, considerato a rischio cybersecurity dall’Enisa (Ente europeo per la sicurezza informatica).
Ma allora perché il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, come riferito a Linkiesta l’ultima volta non ne sapeva niente? La deputata cinquestelle e membro del Copasir Federica Dieni, spiega che l’organo in questione «entrerebbe in funzione in un secondo momento, come già fatto con l’app Immuni: il ministero competente mette in campo un’idea, fa una proposta concreta, e trova la società che si occupa di implementare il servizio. È lì che interviene il Copasir per le sue valutazioni e fare rapporto».
L’attenzione sul voto da remoto e sul comitato – che giovedì 19 novembre ha svolto la sua quarta riunione – è stata riportata recentemente dalla deputata di Forza Italia Fucsia Nissoli: a lei, lo scorso settembre, il ministero dell’Interno aveva rivelato l’esistenza di una «commissione ad hoc sul voto elettronico nella circoscrizione estera».
L’interrogazione di Fucsia Nissoli infatti riguardava la richiesta dell’istituzione del voto elettronico per gli italiani all’estero, come ha spiegato a Linkiesta: «Negli ultimi anni si è più volte parlato di brogli nei voti della circoscrizione estera, per questo chiedo il voto elettronico da tanto tempo. Nel bilancio 2019 venne stanziato un milione di euro per il voto digitale, ma non se ne parla più, così avevo chiesto chiarimenti».
Per quel milione di euro stanziato circa un anno fa, infatti, ancora manca il decreto attuativo. E il voto digitale avrebbe avuto un banco di prova proprio con la circoscrizione estera, con il rinnovo dei Comites, gli organismi rappresentativi della collettività italiana eletti direttamente dai connazionali residenti all’estero in ciascuna circoscrizione consolare – se vi risiedono almeno 3mila persone, altrimenti possono essere nominati dall’Autorità diplomatico-consolare. Quindi non sarebbero stati usati, per elezioni come quelle parlamentari. Non subito almeno.
Gli esponenti Partito democratico, alleati di governo del Movimento Cinque Stelle, continuano a prendere le distanze dall’ipotesi del voto digitale. «Non sono in grado di dire se vi siano state irregolarità o meno nel voto per corrispondenza all’estero. È sicuramente necessario introdurre ulteriori elementi di securizzazione. Ma vuol dire che l’attuale sistema va perfezionato, non sostituito da procedimenti elettronici, la cui sicurezza è interamente da dimostrare. Nel voto nazionale poi mi sembra francamente impraticabile. Ormai non si parte da zero, nel mondo vi sono diverse esperienze e tentativi che nella quasi totalità dei casi portano a una conclusione univoca: non vi sono le condizioni di sicurezza per adottare in modo tranquillo e generalizzato il voto elettronico a distanza», dice a Linkiesta la deputata Angela Schirò, eletta nella circoscrizione estera col Partito democratico.
Oltre al tema della sicurezza il voto elettronico rientra nel campo degli Affari costituzionali. «L’idea è partita dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, lato Movimento Cinque Stelle», dice la deputata grillina Corneli. Ma quest’idea al momento non è stata discussa con gli alleati di governo. Dei membri della Commissione Affari costituzionali sentiti da Linkiesta, l’unico esponente del Partito democratico che ha fornito dichiarazioni è il costituzionalista Stefano Ceccanti, poi qualche no comment e poco altro.
«Al momento quel che sappiamo – dice Ceccanti – è che può essere utile pensare a qualche soluzione per permettere a più persone di votare. Quindi ad esempio immaginare che chi non può recarsi al seggio, può recarsi negli uffici pubblici nei giorni precedenti. Ma bisogna andare molto più cauti sul voto elettronico, che richiederebbe sperimentazioni di ben altro livello».
Anche Ceccanti, però, come alcuni suoi colleghi non va oltre questa dichiarazione e non si sbilancia sul comitato che starebbe valutando l’implementazione del voto elettronico. Forse perché, come fa notare il capogruppo di Italia Viva nella Commissione Affari costituzionali della Camera Marco Di Maio, «la Commissione non ha mai discusso di questo argomento ufficialmente, a differenza di altre possibili riforme costituzionali».
Parlando con Linkiesta, Di Maio spiega che «in ogni caso siamo fortemente contrari alla trasformazione della nostra democrazia in una cliccocrazia, in cui l’esercizio di voto si può fare da casa, senza controllo sull’effettiva autenticità del voto stesso, senza sapere se è un voto libero, autonomo, che la persona votante non sia soggetta a intimidazioni e influenze di qualsiasi genere».
Il problema di costituzionalità è sollevato anche da quella parte di opposizione che sembra più vicina – o meno lontana – rispetto alle posizioni del governo. Felice Maurizio D’Ettore, giurista deputato di Forza, anche lui membro della Commissione, dice a Linkiesta: «Non vedo possibile votare alle elezioni parlamentari con il voto elettronico: non abbiamo sistemi efficienti e adeguati per farlo».
Il primo problema, spiega, «è che bisognerebbe poter dare garanzia dell’identità e della personalità del voto. Garanzie che sono di natura costituzionale, quindi richiederebbero una modifica che al momento non mi sembra sia sostenibile: ci vorrebbe una riforma organica e ampia della costituzione, molto diversa da quelle riforme frammentarie che abbiamo fatto fin qui. Certo, la legge elettorale è disciplinata con legge ordinaria, ma ci vuole una copertura costituzionale alle spalle che riguarda tutto l’esercizio democratico del voto».
Certo, Forza Italia è all’opposizione, almeno per un altro po’. Le altre voci sentite da Linkiesta sono al governo con i Cinquestelle, che nel voto elettronico osteggiato da tutti sembrano crederci. Così come credevano al taglio dei parlamentari.