Ci fu un tempo in cui, per scambiarsi gli auguri di Natale, venivano mandate cartoline che raffiguravano uccelli morti. È un’abitudine che, al giorno d’oggi, suscita una certa impressione ma che, nell’Inghilterra del XIX secolo, in particolare negli anni ’80, era considerata del tutto normale.
Certo, è vero che ai tempi il rapporto con la morte e le sue manifestazioni era più disinvolto (a testimonianza di ciò contribuiscono le fotografie postume), la sua presenza più diffusa e accettata. Ma come si concilia quest’immagine con il tema del Natale?
Le ipotesi sono le più disparate. Alcuni, come John Grossman, le collegano al fenomeno del “Babe in the Woods”, cioè immagini di bambini morti e dispersi nelle foreste, anche queste molto diffuse sulle cartoline dell’epoca.
La loro funzione, per quanto macabra, era quella di sensibilizzare le persone più ricche (erano anche quelle che si scambiavano le cartoline) nei confronti dei poveri, pensando al fenomeno (allora diffuso) dei bambini che, in inverno, morivano di freddo. Il povero uccellino, nella sua interpretazione, avrebbe svolto la stessa funzione (ma senza tirare in ballo questioni di disuguaglianza sociale).
Forse però ci sono spiegazioni più convincenti. Come quella di Hunter Oatman-Stanford, riportata dal sito Hyperallergic, che nota come ai tempi fosse diffusa l’abitudine (oggi impensabile) di cacciare e uccidere pettirossi e scriccioli il 26 dicembre. Si tratta di un rito di origine irlandese, ancora praticato oggi (ma lo scricciolo adesso è di cartapesta e viene appeso in cima a un palo), nel quale si usava andare a caccia di questi piccoli uccellini e poi esibirli come trofeo. Secondo loro porta fortuna.
Seguendo questa interpretazione, allora, una cartolina d’auguri con un uccellino morto raffigurato (si fa notare che si tratta sempre di pettirossi) equivaleva a inviare un buon augurio, cioè la stessa fortuna che derivava dalla caccia allo scricciolo. A ulteriore testimonianza che il Natale di una volta era molto diverso da come molti oggi lo immaginano (e addirittura rimpiangono, con le consuete invettive contro la società dei consumi).