Il giustizialismo del governo ConteL’analfabetismo giuridico di Bonafede contro i giudici antipopulisti

Un pensionato di Brescia di 80 anni affetto da un disturbo delirante di tipo paranoico ha ucciso la moglie e, dopo averla vegliata 12 ore, ha avvertito la polizia. La Corte lo ha dichiarato non punibile perché incapace di intendere e di volere. Una sentenza inaccettabile per il ministro della Giustizia che ha cavalcato l’ingiustificata indignazione di chi non ha neanche letto le motivazioni

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Era un po’ di tempo che non si avevano notizie di Fofò Bonafede, uno degli uomini immagine del governo Conte, ministro di Giustizia e giustizialista, ideologo della nuova forma di tolleranza zero battezzata certezza della pena. In nome di essa ha spedito gli ispettori del suo ministero negli uffici giudiziari di Brescia perché, ohibò, indaghino nientemeno che su una sentenza emessa in nome del popolo italiano nei confronti di un uxoricida dichiarato non punibile per infermità di mente. 

Ciò deve essere sembrato al Guardasigilli contrario alla certezza della pena locuzione che i normali giuristi identificano con il diritto dei cittadini a conoscere in anticipo le conseguenze sanzionatorie delle condotte illecite, mentre secondo l’originale pensiero di Bonafede significa la assoluta garanzia che il colpevole sconterà fino all’ultimo giorno il fio delle sue colpe

Per l’ex dj di Mazara del Vallo, l’art. 27 della Costituzione è solo un fastidioso ostacolo alla summa ideologica che lo muove. Se la Carta fondamentale dello Stato promuove la funzione rieducativa della pena, nella visione del fortunato titolare di via Arenula essa potrà coincidere solo con l’espiazione della pena fino all’ultimo giorno di una auspicabilmente interminabile condanna. Secondo questa visione è insostenibile la semplice ipotesi di sostituire la galera per un povero pazzo colpevole di un atto inconsulto con un internamento forzato in una casa di cura.

Il caso di Brescia è esemplare dell’ennesimo corto circuito che si è creato tra populismo giustizialista destrorso e le degenerazioni del politicamente corretto pseudoprogressista. 

La vicenda alla ribalta è quella di Antonio Gozzini, ottant’anni, pensionato che ha ucciso la moglie nel sonno e che, dopo averla vegliata per 12 ore, ha avvertito la polizia. Davanti ai magistrati non solo ha ammesso il fatto, ma ha raccontato le deliranti modalità con cui la povera vittima secondo lui lo avrebbe tradito. 

Insomma quello che una volta si sarebbe definito dramma della gelosia, ma che nel caso di Gozzini ha assunto tratti talmente deliranti da indurre la Corte di Assise di Brescia a disporre una perizia psichiatrica richiesta anche dal rappresentante della pubblica accusa. La conclusione comune sia dei periti sia degli stessi consulenti esperti di accusa e difesa è che l’uomo fosse affetto da un disturbo delirante di tipo paranoico e che questa patologia lo abbia indotto all’omicidio.

La Corte di Assise, applicando la legge (articolo 88 del codice penale), lo ha dichiarato non punibile (e dunque non innocente come riferiscono con superficialità le cronache) per totale incapacità di intendere e volere e ha ordinato che venisse trasferito in un centro di cura per malattie mentali.

Non è inutile precisare che queste strutture, oggi denominate con uno dei tanti pomposi acronimi Rems (Residenze per Esecuzione di Misure di Sicurezza) sono le eredi di quelli che una volta erano i famigerati manicomi criminali, la versione detentiva di una grande vergogna nazionale quali erano i lager per i malati di mente, considerati rifiuti umani da scaraventare in apposite discariche perché non nuocessero agli uomini cosiddetti sani.

Quando la sinistra era ancora capace di battaglie coraggiose (prima di essere sequestrata da giustizialisti ignoranti) fu necessario un lungo cammino parlamentare per varare negli anni Ottanta la legge intestata al grande psichiatra Franco Basaglia, la famosa e controversa Legge 180, che poneva fine all’indicibile vergogna della detenzione psichiatrica in nome del diritto alle migliori cure anche per i malati di mente.

Se qualcuno ha voglia di capire si vada a vedere su YouTube il bellissimo “Matti da slegare” docu-film di Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli. 

Tra i feroci censori della sentenza di Brescia, troviamo gli epigoni evidentemente immeritevoli della sinistra progressista di una volta che oggi invocano il ritorno a quella che un grande e dimenticato giurista definiva «La  ferocia degli uomini sani contro gli uomini folli» (Bruno Cassinelli, Storia della pazzia).

Che la gelosia nelle sue forme estreme sia una patologia lo affermano numerosi studi scientifici e indagini di tipo neuro-scientifico anche senza scomodare l’esempio insuperabile dell’Otello scespiriano, che del delirio paranoico erotico-emotivo ha tracciato un quadro definitivo. 

Una volta tanto, scienza e diritto al termine di un lungo e acceso dibattito hanno finito per coincidere: Corte Costituzionale e Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato il principio di civiltà che le malattie mentali e i disturbi comportamentali di tipo acuto, ancorché cause di delitti, sono patologie da curare non devianze sociali da reprimere.

Tutto ciò è diventato inutile di fronte alla solita indignazione alimentata anche da una stampa irresponsabile che scaraventa sulla prima pagina del più diffuso quotidiano italiano giudizi del tutto gratuiti sulla sentenza di Brescia evocando addirittura il delitto d’onore o modello divorzio all’italiana degli anni ‘50.

Sfugge agli improvvisati opinionisti giuridici che quella particolare figura di reato (un’attenuante che diminuiva la pena per l’omicidio della consorte) riconosceva razionalità e comprensione alla reazione dell’uomo geloso mentre oggi si parla nel caso di Brescia di un uomo malato di mente. 

Basterebbe questo per cancellare impropri paragoni.

Invece dobbiamo assistere a una grave aggressione contro i giudici che hanno applicato la legge e senza neanche aver letto mezza riga delle loro motivazioni, costringendoli addirittura a subire un rituale staliniano e a farfugliare qualche giustificazione di fronte alla pubblica opinione.

L’Associazione nazionale magistrati che di fronte a una qualsiasi castroneria di un Matteo Renzi o di un Matteo Salvini contro la magistratura sarebbe già insorta, ora invece tace imbarazzata perché ha di fronte il pregiudizio del giustizialismo politicamente corretto.

Il neo presidente Giuseppe Santalucia è un uomo moderato e di idee aperte, un uomo di buon senso,  già capo di gabinetto dell’ex Guardasigilli Andrea Orlando, un ministro di stampo diverso dall’attuale che purtroppo mancò del coraggio necessario proprio di fronte al bivio della riforma più coraggiosa, quella del carcere.

Ebbene sarebbe triste la mancanza di coraggio oggi: parafrasando Manzoni, è tempo che il buon senso non si nasconda più di fronte al senso comune.

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