Il report del G30Le strategie per tornare alla crescita escluderanno alcune aziende, ma sarà inevitabile

La pandemia ha causato molte difficoltà, ha scompaginato i bilanci pubblici e ora richiede nuovi interventi da parte dei governi. Se in una prima fase serviva soprattutto immettere liquidità, adesso occorrono misure più sostenibili sul lungo periodo. I governi saranno costretti ad attuare politiche selettive: dovranno aiutare le imprese che possono essere virtuose dopo la pandemia

Cecilia Fabiano/LaPress

«In Italia abbiamo 20 per cento di aziende che sono ormai ai margini del mercato, cioè stanno per uscirne e non sono più competitive. Ma non vanno salvate tanto per salvarle, ma devono essere messe in condizione di investire, di investire in innovazione, in internazionalizzazione, in tutti gli aspetti della vita aziendale diventati indispensabili». Lo ha detto Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria dal 2012 fino allo scorso luglio.

Panucci è intervenuta durante un webinar in cui sono stati discussi i contenuti del report “Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid: Designing Public Policy Interventions” del gruppo G30 (che fa consulenza accademica sulle politiche economiche). Il documento vede tra i principali estensori l’ex presidente della Bce Mario Draghi e Raghuram Rajan, ex governatore della Reserve Bank of India.

L’incontro è stato moderato dalla giornalista Francine Lacqua, e ha visto la partecipazione di Douglas J. Elliott, partner della società di consulenza manageriale statunitense Oliver Wayman, che ha collaborato al report.

«Questa crisi senza precedenti ha causato molte difficoltà, ha scompaginato i bilanci pubblici e ora richiede nuovi interventi», ha detto Elliott ricordando però che «di soluzioni semplici non ce ne sono, e non ce n’è una che vada bene per tutti i Paesi. Ma con questo rapporto abbiamo voluto dare delle linee guida per aiutare a produrre le risposte migliori possibili a ciascun decisore politico. Le risposte varieranno da un Paese all’altro, anche in base alle risorse disponibili, alle capacità istituzionali e alle priorità e i vincoli sociali e politici».

Il report prevede infatti principi e strumenti per comprendere l’attualità, leggere il futuro e provare a mettere in campo alcune soluzioni efficaci.

«Il testo – spiega Elliott – poggia su alcuni pilastri fondamentali. Il primo è il passaggio dalla crisi di liquidità della prima fase di pandemia al rischio di insolvenza da parte di moltissime aziende, che devono tornare a crescere, in questa nuova fase».

L’assenza di liquidità andava bilanciata all’inizio, con misure pensate soprattutto per prendere tempo e studiare lo scenario. «Gli aiuti dei governi – spiega Elliott – erano una strategia valida, che quasi tutti hanno messo in campo, qualcuno meglio di altri. Ma non è una strategia sostenibile sul lungo periodo. Gli stessi investimenti sulla digitalizzazione o sulla sostenibilità ambientale, che segnano molti dei piani di rilancio dei governi e sono sempre importanti, devono evitare di porre vincoli eccessivi alle imprese impedendo loro di tornare a crescere».

Una strada percorribile – secondo gli autori del report – potrebbe essere quella della trasformazione dei debiti garantiti dallo Stato in equity o quasi-equity (capitale di rischio). Oppure potrebbero essere prese in considerazione forme di sussidi agli investimenti in capitale, a cominciare da parziali deduzioni fiscali.

Il documento individua anche la necessità di fidarsi maggiormente del settore privato, dove c’è una expertise decisamente maggiore nel valutare la redditività delle aziende. E non può mancare uno sguardo al futuro: il focus di questi sforzi economici, sociali, politici, non è diretto al ripristino dello status quo precedente, ma all’adattamento all’economia post-covid.

Quest’ultimo punto era stato già anticipato dallo stesso Mario Draghi a inizio settimana, in occasione della pubblicazione del report del G30: «Stiamo entrando in una nuova era nella quale saranno necessarie scelte che potrebbero cambiare profondamente le economie e i Paesi».

Il documento infatti parla di «distruzione creatrice», che passa dalla consapevolezza che inevitabilmente una crisi così profonda costringerà moltissime aziende – indipendentemente dalle loro dimensioni o dal loro precedente stato di salute – a ridimensionarsi, o addirittura a chiudere; ma ce ne saranno altre che apriranno e potranno espandersi in nuovi segmenti di mercato.

E lo stesso vale anche per i lavoratori: la perdita dei posti di lavoro è già una realtà, qualcuno è ha dovuto cambiare, ha dovuto spostarsi, c’è stato bisogno di un re-training tipico di una fase di transizione forzata. Ma con il tempo e con le giuste politiche verranno fuori nuovi posti di lavoro, nuove mansioni, nuove competenze richieste sul mercato.

Il compito di individuare le priorità e le strategie concrete da mettere in capo è compito di ogni singolo governo. Ma inevitabilmente saranno politiche selettive, in qualche modo: «Non tutte le aziende – si legge nel report – vanno sostenute, occorre scegliere quelle che possono essere virtuose dopo la pandemia. In questo caso è utile dare attenzione alle piccole e medie imprese, che hanno minore potere contrattuale verso i governi e allo stesso tempo sono un’ottima fonte di occupazione e produttività».

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