Anche qui ci sono fantasmi, miracoli e magie notturne. Anche qui, come nei romanzi natalizi di Charles Dickens, c’è chi si pente per le malefatte commesse. E anche qui c’è abbondanza di neve, boschi, feste vissute in famiglia con semplicità.
Ma il mondo che la scrittrice svedese Selma Lagerlöf ha costruito intorno al Natale è, per tutto il resto, lontanissimo dalle atmosfere inventate dallo scrittore inglese.
Alla fuliggine londinese, l’autrice premio Nobel nel 1909 (la prima donna i Svezia) contrappone la limpidezza delle pianure nordiche. Niente città, solo villaggi di provincia, poche case e non sempre accoglienti (nemmeno a Natale). Alle disuguaglianze sociali della città capitale del mondo si sostituiscono fasci di paglia contadini, candele in mezzo ai boschi e notti infinite. Uno spazio immenso che sostiene anche una morale diversa: Ebenezer Scrooge si pentirà durante il sonno, visitato da spiriti soprannaturali. Le storie di Selma Lagerlöf, che pure incorporano credenze e abitudini rurali, tendono a parlare di Dio.
Un altro mondo. La scrittrice, di buona famiglia, nasce nel 1858 a Mårbacka, nella regione del Vårmland. Riceve una buona istruzione, le vengono insegnati l’inglese e il francese e a sette anni, dopo aver finito di leggere il suo primo romanzo, decide di diventare scrittrice. Appena ne compie dieci, durante un periodo di grave malattia del padre, fa voto di leggere tutta la Bibbia «da cima a fondo» perché venga salvato. Il padre starà bene e lei avrà imparato ad abituarsi al linguaggio e allo stile biblico. La influenzerà tutta la vita.
Crescendo, continua a scrivere, insegna e si interessa al problema del suffragio femminile. Intanto, segna la sua distanza nello stile e nei temi rispetto agli scrittori contemporanei. Rifiuta il realismo, tanto di moda, per elaborare uno stile fiabesco e immaginifico. Recupera le storie e le leggende della tradizione scandinava, non teme di inserire elementi soprannaturali, fa ricorso (come da folklore) agli elementi della magia. E nella sua rielaborazione il sostrato pagano ritorna, ma rivestito con insegnamenti cristiani.
Ecco allora “Il libro di Natale”, racconti radunati da Iperborea (2012) che esplorano, in varie direzioni, il tema natalizio. C’è la principessa buona e devota di Santa Lucia, che dovrà difendersi dagli attacchi della zia malvagia (e proprio la Santa, che dalla Sicilia porterà la Malvasia, sarà la sua salvezza). O il venditore di trappole per topi, finito lui stesso in una trappola metaforica a causa della sua avidità, ma che viene salvato dalla bontà della figlia del proprietario di una ferriera (qui forse Selma rivede se stessa?).
Chi le cerca, troverà anche tracce di Amleto e Don Giovanni nel racconto del becchino che, per la Vigilia, invita i compaesani a cena a casa sua («ma lo sanno tutti che la Vigilia si passa in famiglia», gli spiega la moglie), o di antichi rituali pagani nella storia del cavallo che, per un convegno tra animali, trascina il parroco del paese in un fitto bosco. Lo stile è semplice come quello delle fiabe, pochi tratti che dipingono una situazione. Nomi comuni, personaggi elementari come statuine di un presepe (ma evolvono in poche righe) che si muovono secondo le abitudini di una volta, più evocate che vissute, su un palcoscenico che abbraccia tutto lo spazio innevato della Scandinavia, pianura e montagna, irraggiungibile e fatato.
I racconti di Selma Lagerlöf , insomma, sono un mondo in miniatura, lineari e limpidi, dove il miracolo (esemplare “La leggenda della rosa di Natale”) convive con la fede, segue sempre l’errore e porta come dono l’insegnamento morale. Il tutto mescolato con le incombenze della vita quotidiana, le sue gioie e i dolori.
“Il carretto fantasma”, per esempio, viene pubblicato nel 1912 (diventerà anche un film”) ed è una rielaborazione, nei temi e nella struttura, del “Canto di Natale di Dickens”. Ma mentre il ricco Scrooge si pente a causa dei rimorsi che lo visitano nel sonno, il suo corrispettivo David Holm è un poveraccio ubriacone che muore in una rissa. È in quell’occasione che viene raggiunto dal carretto dei morti (tema folkloristico svedese) e incontra la presenza soprannaturale che lo fa riflettere su tutto il male che ha commesso. Lo scarto definitivo tra le due storie e i due caratteri è nel finale: non si può raccontare, ma basta accennare che, al contrario della gioia smodata dickensiana si sostituisce uno slancio morale profondo, senza l’enfasi su regali, tacchini e casacche.
Alla fredda pianura polare, sembra la lezione, si addice di più la metafisica.