«Ci vuole un’idea-forte! Non possiamo limitarci a sommare progetti su progetti, mettere un po’ di miliardi qui, un altro po’ là! Datemi una visione, un respiro strategico: un’idea appunto!».
Non c’era, a Palazzo Chigi, capo-dipartimento che non si sentisse ripetere queste parole, in quei giorni convulsi in cui l’Italia doveva predisporre il suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Il portavoce, Rocco Casalino, strigliava tutti gli uomini dello staff: «Ci vuole un’idea! Il premier ha chiesto di trovare un’idea guida. Non basta che ci mettiamo il verde, la transizione ecologica, la trasformazione digitale. Quella roba va bene per tutto, la dicono tutti. Ma un’idea vera, originale, che spacca, quella non ce l’abbiamo! Ma ci vuole, ci vuole! Il premier ha il fiato dei partiti sul collo: come ci va al confronto, nei prossimi giorni, se si limita a spostare miliardi sui vari capitoli di spesa, a accontentare Tizio o scontentare Caio? Questa è ragioneria, roba per addetti ai lavori. Ma così il Piano non funziona, il Paese non riparte! Cosa diciamo agli italiani?».
Già immaginava, il premier, le intemerate di Cacciari in tv, le provocazioni via newsletter di Renzi, e poi: quel cacadubbi di Ricolfi, quell’altro solone di Cassese…: «Dobbiamo tirar fuori un’idea che metta tutti a tacere!». «Un po’ come la primula per le vaccinazioni?», provò a chiedere qualcuno, senza tema di ridicolo. «Di più! Di più! – fu la risposta – ci vuole qualcosa di più forte!».
E niente, quando tu metti al lavoro le migliori intelligenze del Paese, il governo di una delle maggiori potenze mondiali, alla fine qualcosa esce fuori, per forza. Ci vuole metodo, studio, applicazione, naturalmente, anche se poi le migliori idee spuntano sempre un po’ a casaccio, in maniera casuale. Pure quella volta andò così, o almeno così è stata tramandata.
Era appena finito il pre-Consiglio, capi di gabinetto, tecnici e assistenti stavano ancora lasciando, confabulando fra di loro, la grande sala in cui la riunione si era appena svolta quando uno dei commessi di servizio, che stava riordinando alcune carte, si ritrovò tra le mani un planning settimanale, con bei fogli grandi, tenuti insieme da una striscia in similpelle. In alto, l’anno: 2021. Senza troppo pensarci, prese una penna, barrò l’anno e ci scrisse sopra «2020».
Non fece a tempo a mettere via l’agenda, che un collega lo fermò: «Giusto!», disse, e subito richiamò l’attenzione dello stagista che era alle loro spalle. «Ideona!» disse il giovane, precipitandosi a sussurrare qualcosa nell’orecchio del suo capo ufficio, ancora in sala. Per farla breve: dal capoufficio al vicecapo di gabinetto, dal vicecapo al capo di gabinetto, dal capo di gabinetto al segretario particolare del ministro, dal segretario al ministro in persona, e dal ministro a Rocco Casalino: cresciuta ad ogni passo, l’idea era ormai all’attenzione del portavoce.
Non ne fu subito convinto, in verità: «Ma che cos’è? Il giorno della marmotta?». «Di più! Di più! – disse il Ministro – Ci abbiamo lavorato: funziona!». Spiegami un po’, disse ancora diffidente Casalino, e il ministro spiegò. Spiegò che l’Italia ha anzitutto un problema demografico, aggiunse che il calo del PIL, nel corso dell’anno, era stato drammatico, che la scuola per tutti è una priorità, che i giovani hanno bisogno di essere sostenuti: disse insomma tutto quello che c’era da dire.
Fornì calcoli, grafici, tabelle, propose anche di contattare la World Calendar Association e aggiunse pure qualche considerazione strettamente giuridica riguardo alla compatibilità con gli standard internazionali (l’ISO 8601: «Male che vada, poniamo il problema nella sede giusta, che sono le Nazioni Unite, non l’Europa!»). Dopodiché concluse: «Fallo. Parlagliene». E lui gliene parlò.
Fu così che la sera del 31 dicembre, nell’orario solitamente riservato al discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, il premier Conte tenne la sua ultima conferenza stampa del 2020 per annunciare alla stampa italiana ed internazionale il decreto legge appena varato dal governo, «che contiene la cornice fondamentale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che presenteremo nelle prossime ore in Europa. Il Piano – aggiunse – aveva bisogno di essere trainato da un’idea forte, in grado di indicare con chiarezza una prospettiva strategica per il Paese ma anche di portare un miglioramento concreto, tangibile, nella vita delle persone».
Poi, schiarendosi la voce e visibilmente emozionato, Giuseppe Conte disse:
«Il governo da me presieduto ha varato questa sera una incisiva riforma demografica, che, senza aggravi di spesa per i contribuenti, rinuncia al computo di un anno per tutta la popolazione italiana, senza distinzione di sesso, di razza, di lingue, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, come recita la nostra Costituzione. Ci siamo confrontati con i nostri esperti del Comitato tecnico-scientifico, che voglio ringraziare per il prezioso lavoro svolto lungo tutto l’anno trascorso, così come nel conforto su questa storica decisione, che offre da subito un’opportunità di rilancio e di ripartenza per il Paese. Voglio spiegare a tutti i cittadini che a partire dal prossimo anno, anzi da domani, non gli verrà conteggiato il 2020. Significa che i bambini, i ragazzi, i nostri studenti, non avranno perso un anno di scuola, perché potranno ripeterlo. Ma non da ripetenti, sia chiaro: non avranno perso un anno! Perché il bambino che tornerà in prima, avrà per tutti gli effetti e gli usi consentiti dalla legge, ancora sei anni, non sette!».
E ancora: «Vi invito a considerare anche solo alcuni aspetti di questa importante riforma, pari soltanto per profondità ed estensione all’introduzione del calendario gregoriano, varata quasi cinquecento anni fa. Per un anno, la popolazione italiana non invecchia. Noi soffriamo di un grave problema di invecchiamento della popolazione. Con questa riforma incidiamo profondamente sull’anagrafe nazionale, guadagnando un anno secco nel confronto con tutti gli altri Paesi europei. Sul piano economico, invece di procedere come purtroppo abbiamo dovuto fare finora, sotto la pressione dell’emergenza, cioè con successivi interventi disordinati di rinvio delle scadenze fiscali, noi manteniamo le scadenze, ma manteniamo pure il 2020 come anno di riferimento dell’amministrazione tributaria, di modo che quello che si doveva pagare nel 2020 verrà pagato l’anno prossimo, che sarà ancora, eccezionalmente, 2020. Credo sia un modo concreto di venire incontro alle esigenze di larghe fasce di popolazione. Per i giovani, la riforma prevede un abbassamento dell’indice di disoccupazione giovanile e dell’età di ingresso nel mondo del lavoro: ormai avete capito, non c’è bisogno che vi spieghi il perché. Così come non c’è bisogno di sottolineare il sollievo sul sistema pensionistico. Infine, voglio richiamare la vostra attenzione su cosa questa riforma potrà significare in termini di rispetto delle scadenze nella spesa dei fondi europei: abbiamo, di fatto, un anno in più di tempo per spenderli fino all’ultimo centesimo. Ne dovremo parlare con la Commissione, ma i nostri uffici hanno riconsiderato tutta la legislazione europea e non c’è nulla, nei Trattati e nelle altre norme di rango inferiore, con cui la nostra riforma vada in contrasto. Siamo certi che avremo il pieno appoggio sia della Commissione che del Consiglio europeo. Useremo questo tempo anche per un ulteriore approfondimento del Piano da presentare a Bruxelles, coinvolgendo com’è doveroso il Parlamento e anche, come sempre ho inteso fare, l’opposizione, da cui ci aspettiamo un contributo in termini propositivi. Ma consentitemi di dire che il più è fatto, la strategia è chiara, la prospettiva tracciata».
«Ma le persone invecchiano lo stesso!» gridò un giornalista impertinente, senza aspettare che Rocco Casalino, com’è d’uso, ne chiamasse il nome.
Il premier Conte non si sottrasse alla domanda: «Guardi, tutta la scienza medica, tutta la letteratura scientifica, che in questi mesi abbiamo imparato a consultare, ci conferma non solo l’innalzamento dell’età media della popolazione, ma anche il suo miglior stato di salute. Un anno è nulla: avremmo potuto forse essere anche più radicali, e toglierne due o tre. Dal punto di vista sanitario, i malanni, gli acciacchi di un ottantenne di oggi equivalgono a quelli di un settantacinquenne di ieri. Quindi non ci sarà nessun aggravio significativo sul sistema sanitario nazionale, se è questo che lei intende. E per questo – aggiunse infine – la prevengo e prevengo i suoi colleghi. Non abbiamo alcun bisogno di attivare la linea di credito del Mes sanitario. Su questo la maggioranza è ormai concorde».
E con queste storiche parole, prima di sentire obiezioni sull’allungamento della legislatura e illazioni sulla permanenza a Palazzo Chigi, si concluse la conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte.