Una delle più recenti abitudini natalizie entrate nella cultura popolare è quella di Elf on the shelf, cioè quella di posizionare un elfo giocattolo in casa – sul camino, su una mensola o da qualsiasi altra parte – così che possa vigilare sul comportamento dei bambini. Una tradizione che nasce nel 2005 con il libro “The Elf on the Shelf: A Christmas Tradition” scritto da Carol Aebersold, divenuta subito popolare soprattutto in Nord America.
La storia che fa da sfondo è molto semplice: gli elfi vengono inviati in giro per il mondo, nelle case dove abitano i bambini, tra il Ringraziamento e la vigilia di Natale, per controllare il comportamento dei più piccoli, prima di tornare al Polo Nord a riferire tutto a Babbo Natale.
Con questo libro Carol Aebersold ha di fatto attribuito una nuova funzione ai piccoli elfi, oltre quella classica di aiutanti nel laboratorio con la produzione e lo stoccaggio dei regali. Ruolo che invece ha radici molto più antiche: già negli anni Cinquanta dell’Ottocento si parlava di “Folletti di Natale”, come da titolo del libro – non pubblicato – di Louisa May Alcott, datato 1856, quindi precedente anche all’immagine di Babbo Natale così come lo conosciamo ora, con grossa pancia, folta barba bianca e vestito rosso.
Anzi ci sarebbero dei riferimenti ancora precedenti, soprattutto nel Nord Europa, in fatto di elfi natalizi: i Tomte (Svezia) e i Nisser (Danimarca) risalgono ai primi anni dell’Ottocento, seppur con fattezze e abitudini diverse da quelle attuali. Anzi inizialmente era lo stesso Babbo Natale ad avere le sembianze di un elfo: nella poesia del 1823 “A Visit from St. Nicholas” (probabilmente) di Clement Clarke Moore, papà Natale è descritto come «un paffuto, allegro, vecchio elfo». Qualche decennio più tardi, nel 1957, su Harper’s weekly, venne pubblicata la poesia “Le meraviglie di Babbo Natale”, dove vengono descritti «al lavoro un gran numero di elfi per fare un milione di cose carine».
Per introdurre con maggior decisione questi piccoli personaggi nell’immaginario collettivo però occorreranno altri anni. Ci sono diverse apparizioni nei libri e nelle poesie di fine Ottocento, e ancora nel 1922 l’artista Norman Rockwell pubblicò un ritratto di un Babbo Natale stremato dalla fatica negli ultimi giorni prima della fatidica festa, circondato da piccoli elfi che lo aiutano a finire il lavoro in tempo per Natale.
Dieci anni più tardi un cortometraggio animato della Disney intitolato “L’officina di Babbo Natale” avrebbe consegnato definitivamente gli elfi natalizi al pubblico: i protagonisti sono piccoli personaggi simili a gnomi che cantano, preparano la slitta di Babbo Natale con le renne e stilano la lista dei buoni e dei cattivi.
Mamma Natale
Un personaggio che spesso resta ssullo sfondo nelle storie su Babbo Natale è Mamma Natale, o Mrs. Santa nella versione inglese. Sembra un personaggio recente, perché meno radicato nella storia e nella cultura popolare. Ma in realtà anche le sue prime apparizioni risalgono al XIX secolo.
Qualche comparsa incerta, in cui è citata solo di sfuggita, senza una vera e propria caratterizzazione e senza una vera descrizione, c’è già intorno a metà Ottocento. È del 1889 la prima descrizione che tratteggia quella che diventerà la sua fisionomia ufficiale, nella poesia di Katharine Lee Bates “Goody Santa Claus on a Sleigh Ride”: si tratta di una donna anziana, gentile, calma, paziente dai capelli bianchi, che può talvolta contribuisce alla produzione dei giocattoli, prepara dolci e biscotti.
Nella seconda metà del Novecento la sua figura si è consolidata diventando una presenza sempre più costante nelle storie natalizie, al cinema, in tv, in letteratura. L’ultimo libro pubblicato con Mamma Natale per protagonista è “Annalina: the untold story of Mrs. Claus”, di Adam Greenwood, che racconta la storia della giovane donna che un giorno diventerà la moglie di Babbo Natale. Ma la vera perla è il film “Mamma Natale” del 1996, in cui la protagonista è Angela Lansbury.
Rudolph la renna
Più recente è invece l’invenzione di Rudolph, la renna dal naso rosso, forse uno dei personaggi secondari del Natale che ha ottenuto maggior successo negli ultimi anni in tv, tra film e cartoni animati.
Rudolph è uno di quei personaggi che non si è evoluto più di tanto rispetto alle origini, almeno fisicamente. Nasce dalla penna di Robert L. May, che già nel 1939, nel libretto “Rudolph la renna dal naso rosso” (Rudolph the Red-Nosed Reindeer), l’aveva immaginata con le fattezze attuali. La storia narra le vicende di Rudolph, una giovane renna del Polo Nord che era deriso ed emarginato dalle altre renne per il suo naso rosso. Ma entrò di diritto nella squadra da slitta di Babbo Natale quando questi notò il suo naso luminoso nel pieno di una fitta nebbia, e le chiese se fosse stata disposta a illuminare il sentiero per rendere possibile la consegna dei regali.
La grande popolarità però sarebbe arrivata dieci anni più tardi: nel 1949 il compositore americano Johnny Marks trasformò l’opera di May in una delle canzoni natalizie più famose, interpretata tra gli altri anche da Frank Sinatra e Bing Crosby.
Discorso diverso invece per l’invenzione delle otto renne magiche che permettono alla slitta di Babbo Natale di volare: compaiono, anche loro, per la prima volta nella poesia natalizia “Una visita da San Nicola” del 1823 – già allora erano conosciute con i nomi Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Dunder e Blitzen.
Pupazzi di neve
C’è ancora un personaggio ricorrente, forse non catalogabile in quanto tale, nei racconti di Natale: i pupazzi di neve hanno una storia affascinante, ancora più antica di tutti gli altri personaggi descritti fin qui.
Il primo documento ufficiale è datato 1380 ed è un’illustrazione inclusa nel “Libro delle Ore” (cioè una raccolta di liturgie) conservato nella Biblioteca Nazionale dell’Aia, nei Paesi Bassi. La storia dei pupazzi di neve è stata ricostruita in un libro pubblicato nel 2007 – presto diventato una sorta di Bibbia sull’argomento – a firma Bob Eckstein. L’autore sul suo sito riporta che «il libro è frutto di un progetto iniziato nel 2000 e diventato poi “The History of the Snowman”».
Il libro è pieno di aneddoti interessanti. Racconta ad esempio che già in epoca medievale costruire pupazzi di neve era per il popolo europeo un passatempo che aiutava a distrarre dai problemi causati dall’inverno: il freddo, il gelo dei campi, la carestia.
E poi ce n’è uno ambientato nella Bruxelles del 1511, durante il cosiddetto “inverno della morte”, quando le temperature bassissime causarono molte morti tra la popolazione. Così si decise per bandire una gara di pupazzi di neve che portò alla realizzazione in pubblico di circa cento snowmen, per sollevare il morale del popolo.
C’è anche una fiaba di Hans Christian Andersen intitolata “Il pupazzo di neve”, considerata un racconto metaforico della vita, di chi non può raggiungere ciò che più desidera: il protagonista infatti è un pupazzo di neve che guarda all’interno dell’abitazione di chi l’ha creato, desiderando il tatto umano e il calore di una stufa. Qualcosa che davvero non potrà mai avere.