Senza tuteleIl diritto di difesa in Italia è minacciato dalla folle gestione dell’emergenza sanitaria

L’apertura e la chiusura dei tribunali e la scelta di telematizzare i processi e poi riportarli in presenza ha creato una situazione di caos, oltre che un aumento dei contagi. La giustizia penale però necessita di fisicità per garantire un equo processo, ed evitare il rischio che gli avvocati vengano ammutoliti dal giudice con un clic (come è successo a Milano)

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L’esperienza vissuta durante la prima ondata dell’epidemia non ha, purtroppo, insegnato abbastanza. Da un paio di mesi, infatti, la Giustizia penale sta barcollando sotto il peso dell’aumentare dei contagi, agevolati dalle modalità di lavoro in presenza, riprese come se nulla fosse stato da fine giugno a oggi.

Le misure da ultimo prese, in stretta successione tra loro, nel Decreto Ristori e nel Decreto Ristori Bis, sono in parte inattuabili sul breve periodo, e in parte lesive del diritto di difesa in modo grave e sproporzionato. Non è uno scenario rassicurante, soprattutto in considerazione del fatto che la situazione epidemiologica non sembra destinata a risolversi in tempi brevi.

È necessario un cambio di passo, rispetto al quale non è ancora troppo tardi. All’inizio di marzo 2020 – quando era già deflagrata l’epidemia all’interno dei Tribunali – il Governo ha disposto una radicale sospensione delle attività processuali e dei termini. Con il passare delle settimane, quando si era compreso diffusamente che la pandemia era un fenomeno oramai patologico e di non breve durata, il Legislatore ha provato a contemperare l’esigenza di riprendere le attività giudiziarie con la necessità di individuare forme di prevenzione e precauzione sanitaria per i protagonisti del processo

La soluzione è stata l’introduzione di forme di telematizzazione di molti atti del procedimento penale: troppi, in prima battuta, per la struttura del processo, la nostra cultura e lo stato di grave inadeguatezza dell’infrastruttura digitale. Le critiche mosse a questa aggressiva forma di telematizzazione – rimasta comunque sulla carta perché, anche volendo, non c’erano i mezzi (economici e tecnici) per attuarla – hanno portato a un ridimensionamento ragionevole delle attività processuali effettuabili da remoto.

Purtroppo, quando a fine giugno la situazione sanitaria ha cominciato a regredire allo stato di una apparente normalità, il Legislatore ha di colpo abbandonato ogni forma di telematizzazione, riportando tutte le attività in presenza, come se nulla fosse stato, a partire dal 1° luglio. E così sono rimaste sino alla fine di ottobre, quando il Decreto Ristori ha reintrodotto delle forme di telematizzazione del procedimento penale, a oggi però ancora inattuate. Questo perché, nei mesi scorsi, si è perso tempo prezioso, dunque gli strumenti tecnici necessari per dare vita a un processo penale telematico non sono minimamente pronti. Potremmo definirla la “sindrome della cicala”, da cui sta derivando un discreto caos, in cui i processi vengono in parte rinviati, e in parte celebrati in condizioni di grave insicurezza sanitaria.

E, in questa situazione di incertezza pratica e teorica, molti sono i casi conclamati di lesioni di diritto di difesa, in quei casi in cui viene celebrato un processo da “remoto” davvero a metà. È di questi giorni il caso di una avvocata milanese, silenziata con un clic durante un processo per direttissima: in una udienza da remoto, mentre discuteva con il Pubblico Ministero per una questione preliminare, viene ammutolita dal giudice che le spegne d’imperio il microfono.

Ciò che è accaduto alla collega conferma tutte le preoccupazioni sopra esposte circa la smaterializzazione del processo penale. E una delle ragioni per le quali questo non deve accadere è proprio la tutela della fisicità del processo penale, che serve a scongiurare la possibilità che viene data al giudice con un semplice clic di zittire il difensore.

Ovviamente, la fisicità deve andare di pari passo con la tutela sanitaria di tutti gli attori del processo stesso (non solo i dipendenti pubblici, quali magistrati e cancellieri), ma anche le parti private (imputati, persone offese e testimoni) ed i professionisti che le assistono. Tale tutela può essere garantita solo con forme di organizzazione capillare circa lo scaglionamento delle udienze e l’accesso delle persone in aula.

Inoltre, dovrà essere limitato il più possibile il numero di udienze “inutili” in cui, per vari motivi sostanziali e procedurali, viene disposto un mero rinvio. Insomma, la tutela del diritto di difesa deve essere declinata in varie forme, proprio per le varie sfaccettature che mostra il diritto stesso. Solo con una capillare attenzione a tutte queste forme, soprattutto in un momento tanto complesso, sia da un punto di vista sanitario sia sociale, quale quello che stiamo vivendo, potremo veramente tutelare l’integrità del processo e dei suoi attori, garantendo la corretta celebrazione di un rito fondamentale per l’equilibrio della nostra società.

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