Siamo tornati alla situazione di marzo. È questo l’allarme lanciato, dal suo reparto al Sacco di Milano, dall’infettivologo Massimo Galli in un’intervista al quotidiano La Stampa. Galli prima di analizzare l’evolversi della pandemia, si lascia andare anche a una considerazione sull’attuale crisi di governo: «Francamente la situazione politica mi indigna. Sembra l’orchestra che suona mentre il Titanic affonda. Mi pare ci sia ben altro di cui occuparsi in questo momento».
Per Galli le priorità sono altre. «Conviviamo con una pandemia disastrosa. Dopo cromatismi regionali vari abbiamo una situazione in peggioramento. Magari non è il momento di distrarsi. Bisognerebbe stringere tutti le fila e aspettare la fine della pandemia per scannarsi», spiega l’infettivologo.
Il quadro nazionale, nonostante l’arrivo del vaccino, sembra infatti tornato alle fasi iniziali. Anche in termini di contenimento dei contagi. «Il dato più sensibile non riguarda i decessi – spiega Galli -, che non è detto che siano quotidiani e riguardano malattie protrattesi per settimane, ma ciò che conta è che gli infettati crescono stabilmente e gli ospedalizzati risalgono».
In Italia si fanno meno test in generale. Il perché? «Prima veniva richiesto a molte persone, compresi i viaggiatori, mentre nel periodo natalizio c’è stata come una pausa e ultimamente ottiene il tampone solo chi ha forti motivazioni invece che una storia di contatti pericolosi» continua Galli
In pratica, il tampone lo fa chi finisce in ospedale e chi lo cerca privatamente. «Certo, se mi segue facciamo un ragionamento. Dal 21 febbraio al 4 maggio in Italia sono stati diagnosticati 211.938 positivi e 29.079 morti con una letalità del 13,7 per cento. I contagiati erano molto sottodimensionati, anche cinque volte, perché si faceva il tampone solo a chi arrivava in ospedale. Dall’1 settembre al 9 gennaio sono stati diagnosticati 1 milione 988.652 positivi e 42.911 morti con una letalità del 2,1 per cento. Si nota subito come il denominatore più vasto cambi tutto. La media dei due periodi è del 3,4 per cento, mentre la Germania è al 2,1», svela ancora.
In poche parole: non è ancora finita. Anzi. «La seconda ondata, nata quest’estate non facendo tamponi e sottostimando il problema, non è mai finita, perché le misure non l’hanno annientata. Ora c’è un aumento dei parametri che ci preoccupano di più – dice Galli -, come i ricoveri, e una discreta stanchezza sia nella ricerca del contagio sia nell’applicazione delle regole. Nei prossimi dieci giorni capiremo quanto pagheremo le festività e poi speriamo non arrivi anche una terza ondata».
Si torna quindi all’opzione lockdown duro, chiesto a gran voce dal professor Andrea Crisanti . «È il momento di pensare a provvedimenti fermi da coniugare con il piano vaccinale. Se ci sono le dosi sufficienti si può pensare a una chiusura in tempi brevi per abbassare il contagio e favorire una vaccinazione di massa» continua Galli. Le regioni gialle, si legge nell’articolo, secondo Galli «non sono servite a molto. Se ci fossero le dosi necessarie le zone rosse aiuterebbero a limitare la diffusione e a favorire la vaccinazione, dunque si costruirebbe una doppia barriera anti virus».
C’è poi la questione vaccini, e un’organizzazione che ha mostrato subito delle lacune, aumentando così le probabilità di uno slittamento delle tempistiche. «Anche migliorando i ritmi attuali – chiosa Galli -, che riguardano categorie facilmente raggiungibili, basta fare i conti e si finisce oltre il 2021. Sarebbe meglio trovare il coraggio di fare delle scelte impopolari e dire che non ce n’è per tutti e subito». Ovvero: «Non vaccinare in questa prima fase i guariti, perché hanno già qualche tipo di protezione. Noi non siamo a quel livello di emergenza, ma gli inglesi addirittura rimandano la seconda dose».