Non solo San PatrignanoL’eroina resta un problema grave, e lo Stato non ha ancora capito come affrontarlo

Nelle strutture terapeutiche italiane, ognuna col suo metodo, ci sono circa cinquemila persone in cura per dipendenza da oppiacei. Dopo un periodo relativamente calmo, negli ultimi anni i decessi sono aumentati e la legislazione è ancora ferma ai temi di SanPa

LaPresse - Matteo Corner

«L’eroinomane puro non esiste più, oggi c’è il polidipendente che all’eroina abbina la cocaina e altre sostanze. È la logica del doping: quando devo tirarmi su sniffo, se poi voglio rilassarmi mi inietto eroina. Così fanno molti giovani, anche nei licei». Pietro Farneti è l’amministratore delegato della Fondazione Eris, che per conto della Regione Lombardia gestisce diverse strutture di cura oltre a due sert che assistono 530 persone ogni mese. 

Al telefono con Linkiesta racconta: «Oggi l’eroina costa molto meno, soprattutto nelle grandi città. A Milano una dose la compri con meno di dieci euro. Drogarsi è più conveniente, ma il deterioramento fisico e psichico è più veloce».

L’eroina è tornata, o meglio non se n’è mai andata. La docuserie di Netflix sulla storia di San Patrignano, la discussa comunità di recupero fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978, ha riaperto il dibattito sulla lotta alla droga. Tornano le immagini degli anni Ottanta, quando i tossici si aggiravano come fantasmi nelle città, con giubbotti di jeans e sguardi persi. Accasciati sulle panchine, morivano nei parchi. Una tragedia che avveniva sotto gli occhi di tutti, tra famiglie distrutte e uno Stato incapace di intervenire. 

Da allora ci sono state più di 25mila vittime, la prima nel 1973. Un bollettino di guerra che nel 1996 raggiunse l’apice con 1.562 decessi. Era lo stesso anno in cui al cinema usciva Trainspotting, film tratto dall’omonimo romanzo di Irvine Welsh che riportò l’attenzione su tossicodipendenza e Aids. Proprio com’era successo nei primi anni Ottanta, quando pellicole come Christiane F. Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino e Amore Tossico raccontarono la piaga dell’eroina attraverso la durezza delle immagini. E con attori, come nel caso del film diretto da Claudio Caligari, che erano veri eroinomani.

Quel periodo è passato, certo. Se prima in Italia non si parlava d’altro, adesso il fenomeno non sembra più fare notizia. Recentemente è riemerso con il caso del bosco di Rogoredo, la più grande piazza di spaccio del Nord Italia alle porte di Milano. Troppo spesso però il dramma del buco si considera legato al passato.

Ma l’eroina rappresenta ancora la causa principale di morte per l’assunzione di stupefacenti. E il trend è preoccupante: negli ultimi tre anni il tasso dei decessi è quasi raddoppiato. Nel 2019, l’ultimo dato fornito dal Dipartimento antidroga di Palazzo Chigi, 169 persone sono morte per overdose di eroina, quasi la metà delle 373 morti annue attribuibili alla droga. Nello stesso anno 7.500 persone sono state ricoverate in ospedale, di cui 1.500 per colpa degli oppiacei. Se non bastasse, aumentano del 30 per cento le diagnosi tardive di Hiv e Aids.

Oggi quasi 300mila persone in Italia fanno uso di eroina. Chi la inietta in vena, chi la fuma. Novantamila sono in trattamento presso i Serd, i servizi pubblici per le dipendenze a cui ci si rivolge per problemi legali, per chiedere sostegno psicologico, disintossicarsi o prendere il metadone. Tracciare un identikit di chi varca la soglia di questi centri è impossibile. Professionisti e laureati, vecchi tossici e assuntori giovanissimi. «Ormai il problema riguarda tutti, da noi vengono famiglie normali con storie inimmaginabili», spiega Farneti.

Nei mesi del lockdown, tra chiusure e restrizioni, è diventato tutto più complicato. Tranne il mercato degli stupefacenti. La roba si ordina su whatsapp, in alcuni casi gli spacciatori la consegnano persino a domicilio. Le operazioni di polizia sono in aumento, quasi 26mila nel 2019. Un terzo della popolazione carceraria è tossicodipendente. 

Ormai il giro d’affari più importante è su cocaina, hashish e marijuana. Ma l’eroina resta una costante per molte persone. «Ti curi e resti “curato” tutta la vita, ma non guarisci. C’è chi, dopo 15 anni senza prendere nulla, torna a farsi. Basta una disavventura, una debolezza», riflette Farneti. 

Le statistiche raccontano solo in parte un fenomeno sempre più trasversale. Nei ragazzi di età compresa tra i 15 e i 19 anni, sono 27mila quelli che riferiscono di aver assunto eroina almeno una volta nella vita. Metà di loro lo ha fatto per la prima volta quando aveva 14 anni o meno. È quanto emerge dall’ultima relazione al Parlamento presentata a novembre dal Dipartimento antidroga di Palazzo Chigi. Sotto i vent’anni sarebbero 7mila, minorenni compresi, quelli che si bucano abitualmente, dieci o più volte al mese. Le spade, le pere, la scimmia. Il gergo si tramanda immutabile, nonostante il nuovo millennio.

«C’è un picco di giovanissimi che fa uso di eroina, quella che secondo molti sembrava scomparsa. E invece c’è sempre stata e continuerà a esserci. D’altronde non è cambiato molto, oggi le nuove generazioni fanno le stesse cose di chi si bucava quarant’anni fa». Massimo Barra è il fondatore di Villa Maraini, l’agenzia nazionale della Croce Rossa Italiana per le dipendenze patologiche. «Abbiamo curato migliaia di persone, ogni giorno ne vediamo 650, vengono nel nostro centro oppure le andiamo a prendere per strada. E la situazione è gravissima».

Tor Bella Monaca è la centrale di spaccio più importante della Capitale. Organizzazione in stile Scampia, vedette e fortificazioni. Tra i palazzoni scrostati delle case popolari si vende a ogni ora del giorno. Venti euro a dose. Nei parchi della zona molti clienti si fermano a consumare. L’8o% di chi compra non è del quartiere: arrivano da tutta Roma e dal resto del Lazio. Una sorta di zona franca. Ci si buca in auto o sotto gli alberi. Ma nella pineta c’è anche il camper, con la livrea della Croce Rossa, della Fondazione Villa Maraini. Giancarlo Rodoquino è il coordinatore dell’unità di strada che presta assistenza e soccorso. A Linkiesta racconta: «Vengono da noi in media 150 ragazzi al giorno, più di mille persone da luglio a oggi. C’è di tutto: professionisti, infermieri, guardie giurate. E riusciamo a intercettare solo il 10 per cento della clientela di Tor Bella». 

Gli operatori di Villa Maraini distribuiscono siringhe nuove e si fanno consegnare quelle usate, per evitare che vengano scambiate o riutilizzate. «Siamo pronti a intervenire in caso di overdose. Abbiamo il naloxone, meglio conosciuto come narcan.   È un farmaco antagonista degli oppiacei, si inietta intramuscolo o sotto la lingua e funziona in pochi minuti. Qui nel 2020 abbiamo salvato 50 persone dalla morte certa». 

Circa 2.500 negli ultimi vent’anni. Non è facile provare a far cambiare idea a consumatori incalliti. I più difficili da avvicinare sono i giovanissimi, ancora “in luna di miele” con le sostanze. «Non possiamo obbligare nessuno a guarire, ma piano piano entriamo in confidenza, ogni giorno mettiamo un mattoncino cercando di convincerli a venire in comunità. Spesso ci vogliono anni. Senza le istituzioni, ci sentiamo soli a combattere una guerra che non si vince. Ma almeno possiamo ridurre il danno». 

Poche settimane fa nel parco di Tor Bella Monaca è arrivata la sindaca Virginia Raggi per murare la grotta del buco, un anfratto in cui i tossici si facevano le dosi su un tappeto di siringhe. Passerella, foto e dichiarazioni a onor di telecamera per un intervento simbolico, se non inutile. «Pensi che in quello stesso giorno, in cui peraltro era pieno di polizia, al nostro camper si sono presentati 130 tossicomani», raccontano gli operatori.

Massimo Barra, medico esperto di tossicodipendenze, fondò Villa Maraini nel 1976. Si è confrontato e scontrato più volte con Vincenzo Muccioli, padre padrone di San Patrignano. A quei tempi erano in pochi a occuparsi di droga. «E oggi il dibattito è identico a quarant’anni fa. Tutto si riduce alla contrapposizione tra proibizionisti e antiproibizionisti, guelfi e ghibellini. Si ragiona solo in ottica dogmatica e non terapeutica. Nei programmi elettorali parlano delle buche in strada ma nessuno cita la droga. La verità è che dei drogati non frega a nessuno. I politici se ne occupano solo se si trovano un tossico a casa e allora cominciano a domandarsi cosa bisogna fare. Manca il supporto dello Stato alle cose che in questi decenni abbiamo imparato sulla droga. Noi adattiamo i trattamenti al singolo paziente, e non viceversa. Ma lavoriamo nel completo disinteresse della politica. E oggi al governo non saprei con chi parlarne».

Nelle strutture terapeutiche italiane, ognuna col suo metodo, ci sono circa cinquemila persone in cura per problemi di eroina. Seguite da medici, psicologi ed educatori. «Ma la tossicodipendenza è una malattia che ancora non trova un diritto di cura – denuncia Farneti della fondazione Eris – Per entrare in comunità spesso bisogna aspettare cinque mesi perché non ci sono posti sufficienti. Mai come in questi casi bisognerebbe essere tempestivi». 

Rispetto a vent’anni fa esistono nuove tecniche, come le terapie contro il desiderio dall’uso di sostanze. «Ma abbiamo una legislazione vecchissima. Affrontiamo il problema usando una calcolatrice invece di un sistema operativo. Siamo ancora all’idea che si possa gestire tutto col buon cuore, i volontari e un po’ di soldi». I tempi di Sanpa non sono poi così lontani.

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