Porte girevoliLa proposta di un comitato etico per regolare le lobby nell’Ue

Tra Commissione e Parlamento Europeo si fa ora strada l’idea di creare un organismo indipendente, che accentri su di sé il rispetto delle norme in materia di trasparenza e regoli in maniera efficace l’attività dei gruppi di interesse a Bruxelles

LaPresse

Nel linguaggio di Bruxelles si chiamano revolving doors, porte scorrevoli. Politici e funzionari passano con agilità dalle istituzioni europee al settore privato (e viceversa), sfruttando la rete di contatti e conoscenze costruita nella loro carriera pubblica. Dinamiche che incidono sull’integrità del processo legislativo dell’Unione europea e sono da anni oggetto di discussione. Tra Commissione e Parlamento Europeo si fa ora strada l’idea di creare un organismo indipendente, che accentri su di sé il rispetto delle norme in materia di trasparenza e regoli in maniera efficace l’attività delle lobby nella capitale belga.

Premessa necessaria è che nel dibattito pubblico dell’ambiente comunitario la parola lobby di solito non acquisisce quella sfumatura suggestivamente negativa che spesso l’accompagna in Italia. Le attività di lobbying sono intese come legittime interazioni con la politica da parte di associazioni, gruppi di aziende o altre realtà della società civile che vogliano dare il proprio contributo alla stesura e all’applicazione delle leggi. L’articolo 11 del Trattato sull’Unione Europea prescrive anzi alle istituzioni di scambiare punti di vista con cittadini e organizzazioni, purché questo dialogo costante rimanga «aperto, trasparente e regolare». 

Proprio trasparenza e regolarità sono i principi a rischio quando si sviluppa una pericolosa contiguità fra incarichi pubblici e privati. In teoria le attività di lobbiyng sono circoscritte entro un perimetro definito: esistono registri pubblici e codici di condotta per i lobbisti, così come organismi deputati al controllo delle regole in ognuna delle istituzioni. Questi professionisti in relazioni pubbliche devono sempre identificarsi quando approcciano un esponente istituzionale ed evitare qualsiasi comportamento assimilabile alla corruzione. Il tutto per individuare in maniera chiara chi sostiene interessi privati e farlo dialogare, senza alcuna possibilità di confusione e commistione, con chi invece difende l’interesse pubblico.

Eppure, nella recente storia europea non mancano situazioni di lampante conflitto d’interesse. Il caso più noto è quello di José Manuel Barroso, presidente della commissione Europea per due mandati e poi diventato presidente non esecutivo della banca d’affari Goldman Sachs. Ma gli esempi sono tanti, dall’ex commissario tedesco Günther Oettinger che apre un’agenzia di consulenza politica dopo l’esperienza a palazzo Berlaymont ad Aura Salla, prima advisor politica della Commissione per disinformazione e cybersicurezza e poi capo della lobby europea di Facebook.

«Le regole esistono, ma non vengono applicate. Il sistema attuale è inefficiente», spiega a Linkiesta Alberto Alemanno, professore di diritto europeo all’École des hautes études commerciales (HEC) di Parigi e fondatore del movimento The Good Lobby. Il 13 gennaio Alemanno presenterà uno studio commissionato dal Parlamento sulla costituzione di un ethics body, un organismo indipendente chiamato a regolare (anche) queste dinamiche. 

Il nuovo comitato etico
Al momento ogni istituzione ha le sue norme sui gruppi di pressione e degli organi interni deputati a farle rispettare. Ciò significa che i controllori non sono indipendenti, ma inseriti nei quadri dell’istituzione da cui provengono i controllati. «Ad esempio, nella Commissione i membri dell’organismo di controllo sono designati dal Presidente e nominati dal collegio dei commissari. Ovvio che ne derivi una relazione di dipendenza», afferma l’esperto di diritto comunitario. 

Proprio al fine di evitare l’immediata ricollocazione in compagnie interessate agli affari europei, per gli inquilini di palazzo Berlaymont è previsto un periodo di cooling-off di due anni (tre per il presidente, ottenuti grazie a un’iniziativa proprio di The Good lobby). Durante questo lasso di tempo gli ex commissari continuano a percepire una parte sostanziosa del proprio stipendio. «Questo non significa che nel frattempo i politici non possano lavorare nel privato – puntualizza Alemanno – semplicemente devono ottenere l’autorizzazione da quell’organismo di controllo che hanno istituito quando erano in carica».

Così come i commissari, anche i membri del Parlamento sono costantemente esposti al richiamo delle sirene dei capitali privati. Uno studio del 2017 ha svelato come 51 europarlamentari non rieletti della precedente legislatura fossero passati immediatamente dall’altra parte della barricata, cominciando a fare attività di lobby sui propri ex-colleghi. Il Parlamento ha stilato un codice di condotta sul tema del conflitto d’interesse, che però non impedisce agli ex deputati di operare come lobbisti sulle istituzioni europee, prescrivendone solo la tempestiva comunicazione all’organismo di controllo del Parlamento stesso.

Non sono solo i politici a migrare rapidamente dal pubblico al privato, ma anche i funzionari, a volte con viaggi di andata e ritorno, come sottolineato nello studio del professor Alemanno. «Migliaia di persone impiegate nelle istituzioni comunitarie godono di un’aspettativa di dieci anni, in cui possono lavorare altrove senza perdere il posto. Ci sono stati casi estremi, come quello di un capo unità che regolava le telecomunicazioni passato a fare lobbying nello stesso settore. Magari in futuro potrebbe pure tornare al suo ruolo pubblico».

Il nuovo comitato indipendente dovrebbe arginare situazioni di questo tipo grazie a una regia centralizzata, che accorpa i sistemi di controllo per crearne uno unico e indipendente. «Al contrario di quanto succede ora, un ente svincolato è incentivato ad agire perché non ha legami diretti con le figure che si trova a controllare. Quelli inseriti all’interno delle diverse istituzioni sono più che altro cosmetici». 

Chiamato ad assicurare i principi di integrità, trasparenza e confidenzialità, tale organismo vigilerebbe sull’applicazione di tutti i principi etici e di condotta applicabili a commissari, parlamentari e funzionari civili. Tra le soluzioni proposte ci sono il controllo di un unico registro di trasparenza in cui siano inclusi tutti i lobbisti e i decisori politici e l’apertura di inchieste a seguito di denunce della società civile, sul modello di un ente simile già esistente in Francia.

Anche se la presidente della Commissione Ursula von der Leyen sembra favorevole a muoversi in questa direzione, i tempi per l’istituzione dell’ethics body, comunque, non si annunciano brevi. I promotori dello studio puntano all’inclusione del progetto nel programma legislativo del 2022, con il Parlamento pronto a fare pressione sulla commissaria alla Trasparenza Vera Jourová per raggiungere l’obiettivo. Ma secondo Alemanno, per cambiare in meglio l’universo europeo delle lobby non bastano gli strumenti legislativi: serve una diffusa cultura politica della responsabilità. «Per ora continuiamo ad avere cattivi maestri…».  

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