Non è Fauda“Losing Alice”, un modo contorto per parlare di crisi di mezz’età (femminile)

Il thriller noir israeliano, ora disponibile su Apple Tv, racconta il lento scivolare di una regista senza più fantasia in una torbida vicenda di sangue e ambizione. Il tutto per riscattare una vita che sembra aver smesso troppo presto di avere senso

frame da “Losing Alice”

Due donne si incontrano in treno. Una è Alice, una regista di mezza età, in crisi creativa, che sente il peso della famiglia e della vecchiaia che si avvicina. L’altra è Sofi, una ragazza, enigmatica e dal fascino sinistro: ha appena scritto una sceneggiatura «diversa dalle altre», erotica ed esagerata. Per puro caso l’ha inviata al marito della donna, un famoso attore, che se ne è detto entusiasta. Alice ne rimane turbata e quando rincasa la vuole leggere. Questo le cambierà la vita.

Così comincia “Losing Alice”, serie tv israeliana del 2019, thriller noir approdato su Apple Tv solo adesso, realizzata dalla scrittrice e regista isreaelo-americana Sigal Avin. In patria la critica è divisa, tranne che su un punto: è un prodotto unico, in tutti i sensi. E non c’entra niente con il militaresco “Fauda”.

È un dramma psicologico, come suggerisce la sua lenta trama, che ruota intorno ad Alice (interpretata da Ayelet Zurer), ormai non più giovane, che intraprende il classico rapporto ambiguo con la bellezza nervosa di Sofi (Lihi Kornowski), la ragazza sceneggiatrice incontrata in treno. In mezzo c’è il marito inetto, l’attore mezzo fallito David (Gal Toren), incapace di destreggiarsi tra le due.

È ambientato in Israele, ma potrebbe essere ovunque. La villa di Alice e David è splendida, si vede il mare e la città. Ma non ci sono allusioni a questioni sociali, etniche o razziali. Non ci sono né Intifade né spie.

E meno male. Si parla solo di Alice, del suo matrimonio sfibrato, del vicino voyeur che la lusinga, dell’incapacità di lavorare. La donna passa «ore davanti allo schermo bianco» per cercare, invano, di scrivere un nuovo film. La svolta arriva grazie alla sceneggiatura allucinata di Sofi. “Camera 209”, questo il titolo del film nel film, è la storia di una ragazza che uccide la migliore amica dopo avere intrecciato una relazione con il padre di lei. Una trama folle e inquietante. Soprattutto, è «Scritta troppo bene per essere inventata», dice.

Il ritmo procede calmo e inesorabile. Alice rivede Sofi alla prima del film del marito. La ritrova davanti alla porta di casa, «per un appuntamento con David». In quell’occasione si trova a doverla invitare al compleanno della figlia e poi, mentre la accompagna in stazione, scopre che lei stessa la vuole come regista per il suo film. Scopre anche, con angoscia, che Sofi frequenta un uomo molto più anziano di lei.

Nonostante i dubbi, Alice si spoglia delle sue ritrosie e comincia ad accarezzare vecchie ambizioni. Vuole tornare a lavorare, a non essere «la moglie di» (come viene definita in un’intervista), recuperare, se non la giovinezza, almeno lo slancio di quell’età.

Ma Sigal Alvin complica tutto e ai ritmi trattenuti aggiunge inserti di altri due film: uno è quello in cui ha recitato il marito, ricavandone pessime recensioni, l’altro è proprio la sceneggiatura di Sofi. I confini, come si dice, sfumano.

Per questo “Losing Alice” è stato paragonato (alla lontana) a Hitchcock. Entrambi giocano con lo spettatore, si divertono a ingannarlo con falsi allarmi e lunghe fasi di tensione irrisolta. Ma le atmosfere richiamano (anche qui: alla lontana) “Mulholland Drive”, di David Lynch, cui appartiene anche il legame ambiguo tra le donne e la figura dell’uomo scemo.

A giudicare dalle prime tre puntate disponibili, “Losing Alice” non si risolve nell’illustrare allucinati stati di fantasia, bensì riproduce (famiglia, lavoro, estetica) la crisi di mezz’età di una donna.

È il disprezzo per il corpo che sfiorisce, insieme alla gioia di un ammiratore con cui flirtare. Ma anche l’insicurezza per l’amore del marito, insieme alla noia di doverne sopportare le frustrazioni. Al peso del tempo passato si aggiunge l’ansia di cogliere il momento, perché gli anni migliori sono andati, ma la fine è ancora lontana. E in mezzo non si sa cosa fare.

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