Alla fine del 2020, anche il mondo dell’arte ha cominciato ad assumere una nuova forma. Il risultato finale delle vendite totali è negativo: – 50,1 miliardi di dollari, il dato peggiore dai tempi della recessione del 2009. Ma poteva andare peggio: a sostenere il settore è intervenuto il mercato delle vendite online, con 12,4 miliardi di dollari, salito al 25% del totale (nel 2019 era solo il 9%), segno che dopo uno sbandamento iniziale, si è registrata una rapida riorganizzazione. In attesa di momenti migliori.
Il quadro che delinea l’indagine annuale condotta da Art Basel, insieme a Ubs, permette di cogliere in profondità la portata e l’impatto della pandemia. Quello che ne esce è il ritratto di un mondo in movimento.
Le strutture tradizionali di transazione – fiere, aste, mostre – sono passate al digitale, con risultati non sempre ottimali. Nel frattempo sono fiorite nuove piattaforme e molti scambi sono avvenuti in via privata tra artisti e collezionisti, spiega al Financial Times l’autrice del report, Clare McAndrew.
Anche se il risultato finale è un crollo delle vendite: sia nel mercato pubblico delle aste (-30%) che in quello privato dei mediatori (-20%), con conseguenze concrete per i lavoratori del settore: il 28% delle gallerie consultate dal report ha fatto tagli al personale, mentre nelle grandi case d’asta il numero dei dipendenti è sceso del 13%.
Anche il capitolo fiere è nero. Delle 365 in programma nel 2020, ne sono state cancellate 218. Circa 70 hanno avuto luogo prima di marzo, cioè prima che fossero chiari gli effetti della pandemia.
In generale, non è andata bene. Nel 2019 le fiere costituivano il 45% degli introiti, nel 2020 hanno raggiunto (ed è già tanto) il 13%.
Ma anche qui l’online è stato un’ancora di salvezza: le loro traduzioni digitali o le sale virtuali (Online Viewing Room) hanno mantenuto a galla il mercato, e perfino Instagram ha funzionato come canale di vendita: dei collezionisti intervistati nel report circa il 34% ha usato il social network per acquistare nuove opere. In più hanno apprezzato la politica più chiara sui prezzi imposta dal nuovo mezzo.
È la porta per un nuovo futuro? Secondo il report sì. La tendenza, che veniva rilevata anche prima dello scoppio della pandemia, è quella di una progressiva riduzione del numero di fiere.
Le Ovr sono una alternativa utile ma, dicono, «incompleta», anche se andrà ad alleggerire il programma fieristico dei prossimi anni. La previsione è quella di un calo generale che andrà oltre il 2021, sia per quanto riguarda la frequentazione sia per il numero di eventi stessi. Rimarranno in piedi solo quelle più affermate (come appunto la fiera di Basilea, che ha commissionato lo studio).
Dal punto di vista geografico, gli Stati Uniti hanno visto la contrazione maggiore: il 24% in meno, anche se mantengono il primato degli scambi, dal momento che costituiscono ancora il 42% del totale globale.
È uno degli effetti della crisi e del crollo del Pil nazionale, anche se la ricchezza del segmento più ricco (quello che acquista arte) si è mantenuta, rallentando la caduta del settore.
Dall’altra parte del Pacifico, invece, la Cina ha perso il 12%, meno rispetto ad altri Paesi, e mantiene il secondo posto insieme all’Inghilterra, dove le vendite sono scese del 22% (mai così male in dieci anni).
A tenere in piedi il Dragone è stato il settore delle aste, che hanno conosciuto un balzo improvviso nel contesto di depressione generale. Qui la Cina ha superato gli Stati Uniti, arrivando a coprire il 36% del mercato globale.
Tra i fattori (alcuni già evidenziati qui) del nuovo corso figura il cambio di direzione dei collezionisti cinesi, meno interessati all’arte occidentale e più concentrati all’acquisto di manufatti, anche antichi, della tradizione orientale.