Non si riesce a capire se all’ombra del Cupolone manchi il senso dell’opportunità o ci sia una precisa regia per distrarre l’attenzione dalla centralità di atti epocali, come nel caso del recente viaggio apostolico in Iraq.
Anche perché sembra rileggere lo stesso copione di quanto avvenne, meno di cinque anni fa, al termine della visita di Francesco negli Stati Uniti. All’epoca si finì col parlare esclusivamente dell’incontro riservato tra Bergoglio e l’ex funzionaria anti-gay Kim Davis che, voluto e preparato dall’allora nunzio apostolico a Washington Carlo Maria Viganò, fu dato in pasto ai media dal legale della donna in accordo con l’ambasciata vaticana.
Questa volta, invece, ci ha pensato la Congregazione per la Dottrina della Fede, che lunedì scorso ha pubblicato il responso negativo al dubium sulla liceità o meno di benedire le coppie di persone dello stesso sesso. E, per non farsi mancare nulla, con tanto di nota esplicativa e articolo di commento.
Ma il prevedibile, e forse desiderato, effetto tsunami – come commenta qualcuno al di là del Tevere – rischia ora di essere un ingovernabile boomerang per la Chiesa cattolica, di cui non pochi strati sono arcistufi di una caccia all’omosessuale mascherata sotto la retorica dell’accoglienza.
E così al non licet dell’ex Sant’Uffizio sta tenendo dietro, senza sosta, quello contrario di molti vescovi e preti, che contestano il valore stesso del responsum ad dubium. A partire dalla Germania, dove la Chiesa, impegnata nel Cammino sinodale biennale, si sta appunto interrogando anche sulla questione delle benedizioni extrasacramentali di coppie di persone dello stesso sesso.
In una nota di lunedì scorso la Conferenza episcopale tedesca (Dbk) ha ridotto a meri «punti di vista» le parole del dicastero vaticano e, come tali, oggetto di valutazione nell’ambito della discussione sinodale sulle «relazioni durature in una maniera generale, che consideri la necessità e i limiti di uno sviluppo della dottrina della Chiesa».
Ancora più tranchant il presidente stesso della Dbk e vescovo di Limburg, Georg Bätzing, che, dettosi anche ultimamente favorevole alle benedizioni di coppie di persone dello stesso sesso al pari degli omologhi di Dresda-Meißen (Heinrich Timmerevers) e Magonza (Peter Kohlgraf), ha dichiarato: «Le indagini teologiche sulla pratica pastorale di oggi non possono essere semplicemente messe fuori gioco con una sola parola di potere».
Delusione, congiunta alla volontà di non arretrare sul tema, da parte dei vescovi di Aquisgrana Helmut Dieser e di Treviri Stephan Ackermann, cui, in ambito laicale, ha fatto eco il Katholische Deutsche Frauenbund o Kdfb (Federazione delle donne cattoliche tedesche).
E se non sono mancati presuli esplicitamente grati a Roma come nel caso di Rudolf Voderholzer (Regensburg) e Stefan Oster (Passau), a essere maggiormente in fermento sono i presbiteri, soprattutto quelli direttamente impegnati nella cura pastorale dei credenti Lgbti+.
I teologi Burkhard Hose e Bernd Mönkebüscher, preti rispettivamente delle diocesi di Würzburg e Paderborn (il secondo si è fra l’altro dichiarato gay nel febbraio 2019), sono gli autori di una dichiarazione, che, sottoscritta in un giorno e mezzo da oltre mille sacerdoti, diaconi e operatori pastorali, sarà consegnata al presidente della Conferenza episcopale tedesca.
«Alla luce del rifiuto della Congregazione per la Dottrina della Fede di benedire le unioni omosessuali – si legge nel documento – alziamo la voce e diciamo: Continueremo ad accompagnare le persone che si impegnano in un’unione durevole e benediremo la loro relazione. Non ci rifiutiamo di celebrare una benedizione. Lo facciamo nella nostra responsabilità di pastori che promettono alle persone in momenti importanti della loro vita la benedizione che solo Dio dà. Rispettiamo e apprezziamo il loro amore e, inoltre, crediamo che la benedizione di Dio sia con loro. Gli argomenti e gli approfondimenti teologici sono sufficienti. Non accettiamo che una morale sessuale escludente e superata sia portata avanti sulle spalle delle persone e metta a repentaglio il nostro lavoro nella cura pastorale».
E, se in area italiana al solito tutto tace, non si arresta la protesta in Austria, dove gli oltre 300 preti e diaconi del movimento contestatore Pfarrer-Initiative hanno annunciato che continueranno a benedire le unioni fra persone dello stesso sesso.
Dicendosi «profondamente inorriditi dal nuovo decreto vaticano che cerca di proibire la benedizione delle coppie dello stesso sesso», hanno definito il responsum «un affronto per molti cristiani» tale da «discreditare il messaggio di libertà di Gesù».
In area elvetica è andato all’attacco il vescovo di San Gallo Markus Büchel, che, bacchettando la Cdf per essersi arrogata il diritto di decidere chi o meno possa ricevere la benedizione, ha parlato di intervento «inappropriato e sbagliato».
È invece arrivato a chiedere pubblicamente scusa a chi sta soffrendo per un «responsum doloroso e incomprensibile» (stanno facendo lo stesso molti parroci e religiosi statunitensi) il belga Johann Bonny, vescovo di Anversa, che ha valutato il documento come «privo di basi scientifiche, di sfumature teologiche e di cautela etica».
Il presule ha inoltre auspicato «un approccio rispettoso» alle diverse forme di unione tra persone dello stesso sesso. Approccio, che «può avvenire solo nel più ampio contesto del sacramento nuziale come un’eventuale variazione sul tema del matrimonio e della vita familiare» da affrontare «con un onesto riconoscimento delle reali somiglianze e differenze».
Parole più misurate, ma comunque rivelative di un diffuso malessere, quelle contenute nel comunicato della Conferenza episcopale belga, che, rilevando quanto «questo è particolarmente doloroso per molti credenti gay, i loro genitori e nonni, i loro familiari e amici», ha commentato: «Da anni la comunità ecclesiale cattolica del nostro Paese in tutte le sue sezioni (vescovi, sacerdoti, diaconi e operatori pastorali, teologi, scienziati, politici e assistenti sociali), insieme ad altri attori sociali, lavora per un clima di rispetto, riconoscimento e integrazione. Molti di loro sono anche impegnati in un’istituzione ecclesiastica o cristiana. I vescovi incoraggiano i loro associati a continuare a seguire questa strada. Si sentono sostenuti in questo dall’esortazione Amoris laetitia, che Papa Francesco ha scritto dopo il Sinodo dei vescovi del 2015: discernere, guidare e integrare; queste rimangono le parole chiave più importanti per i vescovi».
Ma è proprio l’Amoris laetitia, sotto il cui nome inizia oggi l’anno speciale sulla Famiglia indetto da Papa Francesco, a mettere in luce la piena contraddittorietà del responsum. E ciò sia detto con buona pace del card. Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, che ieri, in conferenza stampa, si è barcamenato tra la difesa della Cdf e la ribadita volontà di accompagnamento ecclesiale di tutte le coppie, ricadendo nell’accennata quanto sterile retorica dell’accoglienza.
Come ricorda giustamente il teologo gesuita Paolo Gamberini, «Amoris laetitia consente di amministrare i sacramenti a chi è risposato e il responso nega una benedizione? Amoris laetitia dice al n. 305: A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. L’Eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”».
Da qui, secondo Gamberini, il legittimo duplice quesito: «Ma “il disegno divino” non è la grazia? La benedizione non è dire grazie alla Grazia?». Viene da chiedersi se si sono mai posti un tale interrogativo nel Palazzo del Sant’Uffizio. Ignoramus et ignorabimus.