Viaggio al centro della TerraLa geologia nascosta sotto le calotte glaciali dell’Antartide

Lo studio geofisico internazionale 3D Earth ha l'obiettivo di favorire una maggiore comprensione del substrato geologico del Polo Sud, elemento cruciale per conoscere meglio la coltre bianca e capire come questa potrà rispondere ai cambiamenti futuri

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Ciclicamente i vari continenti crescono, si assemblano e poi si disperdono. L’ultimo di questi cicli è quello del Gondwana, il supercontinente formatosi tra i 600 e 500 milioni di anni fa.

«Fino a 180 milioni di anni fa, l’Antartide era un pezzo centrale del Gondwana, che comprendeva anche l’Australia, la Nuova Zelanda, l’India, l’Africa e il Sud America. Poi l’immensa superficie ha iniziato a frammentarsi, lasciando l’Antartide isolato al Polo Sud», spiega Fausto Ferraccioli, direttore della Sezione geofisica dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale.

Fausto Ferraccioli

Se con i metodi geologici è possibile studiare l’1% del Polo Sud, in particolare la parte che affiora sopra il ghiaccio, servendosi invece di metodi geofisici indiretti gli scienziati possono indagare anche l’interno del continente.

«Possiamo individuare le regioni più antiche e i luoghi dove i vari blocchi tettonici dell’Antartide e di altri continenti si sono scontrati tra loro o sono accresciuti durante l’evoluzione tettonica del pianeta», continua Ferraccioli. «La geologia dell’Antartide è legata all’evoluzione tettonica dell’intero pianeta e contiene evidenze geologiche chiave per ricostruirne la storia, anche se sono ancora poco note perché in gran parte celate sotto i ghiacci. Con il nostro nuovo studio magnetico, la comunità scientifica ha a disposizione nuove informazioni per studiare questi continenti che erano parte del Gondwana».

Il lavoro cui si riferisce lo scienziato è parte del progetto 3D Earth, iniziato due anni e mezzo fa e in chiusura quest’anno. Iniziativa dell’Esa – l’Agenzia spaziale europea -, ha l’obiettivo di costruire nuovi modelli 3D della Terra indagando soprattutto i primi 400 km sotto alla superficie terrestre.

«L’Antartide – spiega Ferraccioli – è uno dei continenti meno conosciuti che abbiamo studiato in questo progetto internazionale condotto dall’Università di Kiel in Germania e di cui fanno parte l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, il British Antarctic Survey e la Witwatersrand University in Sud Africa».

Lo studio geofisico internazionale, che non si occupa direttamente della risposta delle calotte glaciali al riscaldamento globale in atto, favorirà però una maggiore comprensione del substrato geologico dell’Antartide, elemento cruciale per comprendere le calotte glaciali stesse, e quindi anche come queste potranno rispondere ai cambiamenti futuri.

Per condurre questa ricerca, gli scienziati si sono serviti di dati magnetici ricavati da rilevazioni aeree e satellitari.

Differentemente dalle regioni costiere che possono essere studiate grazie a metodi geologici, le immense calotte glaciali rendono impossibile l’osservazione geologica diretta all’interno del continente. E i metodi geofisici comunemente usati negli altri continenti, ad esempio la sismica, sono molto costosi e richiedono uno sforzo logistico molto più considerevole in Antartide.

La comunità scientifica internazionale si era già impegnata in rilievi aerogeofisici utilizzando piccoli aerei. Dopo quasi 50 anni di lavoro è riuscita a mappare oltre l’80% del continente, e anche parte degli oceani che lo circondano. «Tuttavia, tutti questi rilievi aeromagnetici sono un po’ come pezzi di un puzzle che non si incastrano perfettamente tra loro. Utilizzando i recentissimi dati magnetici satellitari dell’Esa invece i vari rilievi possono essere “livellati” meglio, come si dice in gergo tecnico. L’altro vantaggio dell’utilizzo di un approccio magnetico a grande scala è che permette una copertura di dati magnetici di qualità anche in altri continenti. In questo modo possiamo estrapolare le nostre conoscenze geologiche dalle zone note fino all’ignoto in Antartide!».

Due sono i principali risultati dai ricercatori coinvolti nel progetto. «Innanzitutto – conclude Ferraccioli – disponiamo di una nuova carta magnetica per studiare l’Antartide e il Gondwana: un prodotto che ci aiuterà a lanciare nuovi studi geologici e geofisici integrati. In secondo luogo, migliorando i dati geofisici possiamo anche migliorare la nostra abilità di condurre studi interdisciplinari che analizzano il ruolo della geologia nel modulare la dinamica passata, presente e futura delle calotte glaciali».