Fino a pochi giorni fa la Polonia era considerato il Paese più inquinante d’Europa.
La ragione di tanto stigma stava nel fatto che non solo la Polonia è il maggior produttore europeo (insieme alla Germania) di carbone, ma anche nel fatto che era l’ultimo Paese europeo ad essere arroccato sull’uso del carbone (di cui è ricca e che, dunque, ha a costi bassissimi) come fonte di energia.
Un uso dell’energia da fonti fossili talmente capillare e diffuso che si stima che circa l’80% dell’elettricità usata dai polacchi arrivi dalla combustione del carbone, che invece è in netto calo in tutto il resto d’Europa.
Un brutto primato, questo della Polonia, che sembra essersi rovesciato nel giro di pochi mesi.
Per due ragioni: la prima è l’evidenza dell’insostenibilità economica dei progetti basati sul carbone, che trascinano con sé pesanti danni ambientali (da risarcire) e l’impossibilità di avere finanziamenti europei; la seconda, strettamente collegata alla prima, è stata l’abbandono completo del progetto di nuova centrale a carbone Ostrołęka C che avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2024 e che, invece, oggi, è in via di demolizione.
Fino a pochi mesi fa, la nuova centrale, nel nord ovest del Paese, era una delle promesse chiave della campagna elettorale del partito PiS di estrema destra che ha poi vinto le elezioni: «La costruzione di una grande e stabile fonte di generazione nella Polonia nord-orientale è essenziale per la sicurezza energetica e lo sviluppo economico di questa regione e dell’intero Paese – aveva detto nel 2018 il ministro dell’Energia Krzysztof Tchórzewski – Il PiS ha fatto di una nuova centrale elettrica a carbone una promessa di punta nelle elezioni per dimostrare che possono fare le cose».
Le cose, in realtà, non sono andate così, ma in direzione opposta.
L’Unione europea (dai cui finanziamenti dipende buona parte dei progetti di crescita polacchi) da tempo persegue l’obiettivo della Carbon Neutrality entro il 2050 (obiettivo che, fino a poche settimane fa, la Polonia non aveva voluto in nessun modo condividere) e scoraggia in ogni modo sia l’uso che la costruzione di centrali a carbone.
Il modo più efficace con cui l’Unione è riuscita a fermare la diffusione di energia in arrivo dal carbone (le cui emissioni inquinanti, solo nel 2020, sono diminuite del 12% in tutta Europa) è stato il sistema ETS, ossia del mercato per le emissioni.
Detto in parole molto semplici, dal 2005 l’Europa impone che ogni azienda inquinante paghi una certa cifra per ogni tonnellata di CO2 prodotta; il valore delle quote ETS è cresciuto molto negli ultimi anni e, di recente, ha sfondato il valore dei 41 euro per tonnellata. Il che significa che la centrale in costruzione sarebbe stata, inevitabilmente, in perdita, a ragion del fatto che, da progetto, sarebbe stata più grande della centrale polacca di Belchatow, che emette in atmosfera più di 30 milioni di tonnellate di CO2.
Ma non è tutto: a queste spese, inevitabili e in crescita, poi, rischiavano di aggiungersi quelli di eventuali cause risarcitorie per danni ambientali certamente causati dalla centrale.
Due elementi questi che hanno reso il progetto economicamente insostenibile e che hanno portato le utility coinvolte nel progetto (ampiamente sostenuto dal governo), Enea ed Energa, ad abbandonare la costruzione dell’impianto e a dare il via, al contrario, alla demolizione di quanto già costruito.
Una immagine, quella della centrale a carbone che viene giù che rende in modo plastico la dimensione del processo energetico europeo, ai cui standard, seppure obtorto collo, la Polonia sembra si sia dovuta adeguare, non solo abbandonando la centrale di Ostrołęka C, ma anche accettando di avviare un processo di abbandono progressivo del carbone.
L’agenzia Reuters riporta che lo scorso 3 marzo, in Polonia, è stata ufficializzata l’intenzione di chiudere le centrali elettriche a carbone nei prossimi 30 anni e di sostituirle con centrali a gas, parchi eolici offshore e (anche se a qualcuno non piacerà) centrali nucleari.
«Il passaggio delle forniture energetiche dai combustibili fossili a fonti di energia più pulite costerà alla Polonia circa 450 miliardi di zloty (circa 150 miliardi di euro) entro il 2045», ha detto alla radio privata RMF Piotr Naimski, ministro responsabile delle infrastrutture energetiche, annunciando di pari passo l’avvio di un piano nucleare entro il 2033, secondo il quale la prima centrale nucleare polacca dovrebbe essere costruita nel nord del Paese, a Lubiatowo o a Zarnowiec, e una seconda a Belchatow, proprio dove ora sorge la centrale elettrica più inquinante d’Europa.