Immaginatevi una carne perfetta: morbida ma consistente al morso, leggermente marezzata ma senza callosità, con un colore rosso vivo brillante e un sapore semplicemente meraviglioso, che avvolge il palato di suadente bontà.
Avete appena immaginato un taglio di Wagyu, la carne per antonomasia, quella ritenuta dai gourmet di tutto il mondo la più buona mai assaggiata, la più pregiata e – naturalmente – la più costosa.
Che cosa la rende unica? La sua marmorizzazione, che le dona le sue proverbiali tenerezza e aromaticità.
Le venuzze di grasso non sono per niente cattive o nocive, al contrario. Questo tipo di grasso ha una ricchezza di omega 3 e 6 ideale per la nutrizione dell’uomo. Questo acido grasso “buono” non può essere prodotto autonomamente dal nostro corpo, dobbiamo quindi assumerlo attraverso la nostra alimentazione. E cosa c’è di meglio di una succulenta bistecca?
E visto che la marezzatura è il quid che rende queste bistecche così speciali, per misurare il grado di marmorizzazione è stata creata una scala: viene infatti misurata in BMS, il Beef Marbling Score, e la carne pregiata deve avere un valore compreso tra BMS 7 e BMS 12.
Ma perché questa carne è così marmorizzata e soprattutto perché questa presenza di grasso è così intrigante? Negli ultimi decenni tutti gli allevatori hanno fatto il contrario: hanno cercato di togliere grasso, perché la carne considerata più pregiata era quella magra. Ma dipende dal tipo di grasso: i manzi giapponesi discendenti dalla linea dei Tajima sono sempre stati animali da lavoro, quasi mai incrociati con altre razze occidentali. Per questo motivo possiedono le caratteristiche genetiche originarie della loro razza e sono in grado di immagazzinare molto più grasso tra le fibre muscolari. A questo si somma un’alimentazione controllata e un allevamento senza stress, caratteristiche che rendono queste carni così uniche. Questa tipologia di manzi è stata esportata pochissimo fuori dal Giappone e oggi c’è il divieto di farlo: marketing della privazione, potremmo dire.
A volte vediamo che la Wagyu viene confusa con la Kobe: Wagyu è il nome della razza, mentre Kobe una Wagyu speciale, che deriva dagli esemplari nati, allevati e macellati nella prefettura di Hyogo, in Giappone.
In Italia questa carne viene prodotta in Alto Adige, da Stefan Rottensteiner, che nel 2014 ha avuto l’occasione di approcciarsi a questa razza e da allora ne è un grande conoscitore. È l’alimentazione e il tipo di allevamento a fare la differenza: «In estate, i manzi sono principalmente al pascolo, in inverno si nutrono del nostro fieno. I nostri prati e pascoli sono ad un’altitudine di circa 1300 metri, ricoperti di fiori ed erbe di montagna, ottimi per la salute dei Wagyu e per il sapore della carne. I buoi da ingrasso ricevono in aggiunta delle prelibatezze pensate apposta per loro: cereali di altissima qualità, vinaccia e lievito di birra di una birreria regionale e semi di lino (ricchi di omega-3). È proprio così, con questi ingredienti che si crea la tipica marmorizzazione della carne».
Ma sull’alimentazione c’è chi si è spinto anche oltre: le mucche di Shodoshima, una piccola isola nella prefettura giapponese di Kagawa, seguono una dieta che include polpa riciclata, proveniente dalle olive usate per produrre olio d’oliva. Dopo essere stata tostata per renderla meno acre e amara, la polpa di oliva viene aggiunta a una dieta che include anche paglia di riso Inawara e loglio italiano. Questa aggiunta cambia la composizione del grasso nella carne già di alta qualità, rendendola ancora più deliziosa e tenera, addirittura da premio.
Olive Wagyu ha battuto infatti altri 182 produttori di carne bovina in tutto il Giappone e ha vinto la categoria Best Fat Quality alle Olimpiadi di Wagyu 2017. E oltre al sapore, l’aumento del livello di acido oleico salutare per il cuore – presente sia nell’olio d’oliva che nel grasso di manzo – che si trova nella carne lo rende più sano rispetto ad altre varietà di Wagyu.
Ma dopo l’alimentazione, c’è un nuovo modo per rendere questa carne ancora più pregiata, come racconta Kate Krader su Bloomberg Businessweek: «La pregiata carne di manzo viene stagionata per 30 giorni in un yukimoro, un magazzino coperto di neve», scrive Krader. «Invece di fare affidamento su un sistema di raffreddamento industriale, a volte incoerente con tutto il processo di produzione così naturale, il wagyu invecchiato sotto la neve si trova in un ambiente incontaminato, umido e molto freddo, intenerendosi mentre l’ossigeno scompone le sue fibre».
Ci ha pensato Takashi Uono, direttore della Uoshoku Co. e pare che la sua attività ne abbia avuto un netto vantaggio: ha venduto 29.000 libbre di questo particolare tipo di carne nel 2019, rispetto alle 13.800 libbre del 2015. Nonostante il costo sia proibitivo: E non è economico; negli Stati Uniti, una libbra di controfiletto costa circa $ 300.
Jonathan Benno, chef e proprietario del ristorante Benno a New York, uno dei pochi che la serve ai suoi clienti negli Stati Uniti, afferma che l’invecchiamento sulla neve si traduce in un taglio che è «dolce, pieno di sapore, tenerissimo. Da provare, almeno una volta nella vita».
Potendosela permettere e riuscendo a reperirla. In Italia la Wagyu giapponese è disponibile sul sito di Longino & Cardenal, da anni importatore e grande promotore della sua conoscenza in Italia. Due etti di filetto costano 66,00 euro: un piccolo investimento per fare un primo tentativo di assaggio e scoprire se è nelle vostre corde.