Biografia intellettualeIn nome della libertà, Ayn Rand e il sogno dell’individuo eroe

La fuga dalle costrizioni del regime sovietico, l’approdo in America e la costruzione di una filosofia nuova che sapesse difendere l’individualismo dal collettivismo. La romanziera distopica che ha ispirato i movimenti libertari e della destra americana, raccontata da Diana Thermes in “Ayn Rand e il fascismo eterno. Una narrazione distopica” (IBL)

Fotografia di Simone Pellegrini, da Unsplash

Nata nel 1905 a San Pietroburgo col nome di Alisa Zinov’evna Rozenbaum, Ayn Rand è stata un romanziera e filosofa i cui libri, soprattutto “La rivolta di Atlante”, continuano a vendere in America numerose copie. Trasferitasi negli anni Venti del secolo scorso negli Stati Uniti, per tutta la sua esistenza si è battuta a favore della libertà individuale e contro le intromissioni dello Stato nella vita delle persone. Proprio ad Ayn Rand, IBL Libri ha dedicato un recente libro: “Ayn Rand e il fascismo eterno. Una narrazione distopica”, di Diana Thermes

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Alisa Rozenbaum era determinata a diventare una scrittrice, e lo era con caparbia ostinazione perché avvertiva che la scrittura rappresentava la sua realizzazione, come avrebbe confessato con poche e lapidarie parole: «Scrivere è la mia vita». Ma come avrebbe potuto dare esito alla sua decisione in un sistema “ermeticamente chiuso” come quello socialista, che Stalin stava costringendo in una morsa totalitaria? Un sistema per di più favorito dallo stesso spirito russo, intriso di misticismo, autoritarismo e ottemperanza.

Al di là dell’Oceano c’era un Paese fondato sull’individuo e i suoi “sacrosanti” diritti, un Paese di libertà che offriva opportunità di auto-realizzazione e promesse di felicità: l’America. 

Lo spirito americano, all’opposto, era ottimistico, creativo, aperto alla realizzazione dell’individuo. L’America rappresentava un Paese – forse l’unico al mondo – nel quale un uomo poteva davvero essere artefice del proprio destino, un “benevolent universe” nel quale le persone di talento potevano affermare i propri valori. 

Così sul finire del 1925 era fuggita dalla Russia sovietica, «l’aggressore più brutale, la dittatura più sanguinaria, il massacratore di massa e lo schiavista di massa su più vasta scala in tutta la storia», e passando per Berlino e Parigi era sbarcata a New York nel febbraio del 1926, dove aveva pianto «lacrime di splendore» davanti alla bellezza dei grattacieli stagliati sullo skyline di Manhattan – una commovente bellezza, quella dei grattacieli, non semplicemente estetica, bensì etica, in quanto espressione della capacità costruttiva di individui “eroici”, come avrebbe poi lei stessa confessato: «Il profilo di New York rappresenta un monumento di uno splendore che nessuna piramide né alcun palazzo potranno mai raggiungere. Eppure i grattacieli di New York non sono stati costruiti con fondi pubblici, né per la pubblica utilità, ma sono stati eretti dall’energia, dall’iniziativa e dalla ricchezza di singoli individui a fini di profitto privato». 

E dopo alcuni mesi trascorsi a Chicago ospite di cugini, il tempo per farsi una cultura cinematografica americana, si era trasferita a Los Angeles per tentare la fortuna come sceneggiatrice.

Gli inizi erano stati assai difficili, ma Alisa aveva la stessa stoffa del self-made man americano. Nel 1927 aveva preso il nome d’arte di Ayn Rand, nel 1929 aveva sposato un giovane attore, Frank O’Connor, nel 1931 era diventata cittadina statunitense. Aveva lavorato duro come sceneggiatrice, drammaturga e romanziera, adattandosi sul principio a ogni genere di lavoro per la sopravvivenza, fino al fortunato incontro casuale con Cecil De Mille.

Il suo primo romanzo, “We the Living” (Noi vivi, 1936), un’«autobiografia intellettuale» in cui, attraverso il suo alter ego Kira, aveva denunciato il sacrificio di ogni singola vita umana imposta dal regime sovietico sullo sfondo della miseria materiale, morale e sociale prodotta dal totalitarismo comunista, era passato piuttosto inosservato.

E così pure il breve romanzo distopico “Anthem” (Antifona, 1938). Il successo era arrivato finalmente con “The Fountainhead” (La fonte meravigliosa, 1943), un’opera che poi si sarebbe rivelata solo un’«ouverture» ad “Atlas Shrugged” (La rivolta di Atlante, 1957), il colossale romanzo distopico – il suo opus magnum – che quattordici anni dopo le avrebbe dato fama mondiale.

Il percorso iniziale della sua vita sarebbe stato da lei riportato in appendice ad “Atlas Shrugged”: «Ho deciso di fare la scrittrice all’età di nove anni, e ogni cosa che ho fatto è stata integrata a tale proposito. Sono Americana per scelta e per convinzione. Sono nata in Europa, ma sono venuta in America perché era il Paese basato sulle mie premesse morali e l’unico Paese in cui si può essere pienamente liberi di scrivere. Sono venuta qui da sola, dopo aver conseguito la laurea in un’università europea. Ho lottato duro, guadagnandomi da vivere con piccoli lavori occasionali e di vario genere fino a quando non ho ricavato del denaro dalla mia scrittura. Nessuno mi ha aiutato, né io ho mai pensato che qualcuno fosse in dovere di aiutarmi». 

«Scrivere è la mia vita», aveva dichiarato Ayn Rand. Perché la scrittura era il mezzo con cui poteva difendere l’individualismo dal collettivismo, tanto più cogente quanto più il socialismo si faceva totalitario.

Questo era il vero fine della sua attività letteraria, questo il vero impegno della sua vita. Tanto da sviluppare nel corso del tempo i suoi principi morali in un sistema filosofico compiuto in ogni sua parte (metafisica, epistemologia, etica, politica, economia, estetica), cui avrebbe dato infine, nell’ottobre 1960, nella Prefazione a “For the New Intellectual: The Philosophy of Ayn Rand” (1961), il nome ufficiale di “oggettivismo” – «Il nome che ho scelto per la mia filosofia è oggettivismo».

Infatti, ogni foglio da lei scritto, che appartenesse a un romanzo, a un racconto, a un dramma o anche a un saggio di filosofia o di politica o di economia, porta il marchio dell’anticomunismo. Se il tema di “Noi vivi”, secondo la sue stesse parole, era stato «l’Uomo contro lo Stato», il tema de “La fonte meravigliosa” era stato, sempre secondo le sue stesse parole, «l’individualismo vs il collettivismo, non in politica ma nell’animo umano».

Ma l’attacco più frontale, più radicale era stato lanciato dalle pagine dei suoi due romanzi distopici: “Anthem” e “Atlas Shrugged”, il primo scritto contro il collettivismo comunista della Russia sovietica, il secondo contro il collettivismo socialista degli Stati Uniti. 

Infatti lo spettro del comunismo aveva già attraversato l’Oceano alla fine del XIX secolo, ma negli anni Trenta, la cosiddetta Red Decade, aveva ricevuto un’accoglienza fin troppo calorosa da parte delle cerchie intellettuali e degli ambienti governativi americani.

Tanto che “Anthem”, terminato nel 1937, era stato rifiutato dagli editori americani a causa della corrente infatuazione per Stalin e aveva dovuto aspettare il 1938 per trovare un editore in Inghilterra e il 1946 per trovarne uno negli Stati Uniti.

Insomma, una nuova sfida aspettava Ayn Rand in America. Ma negli Stati Uniti, diversamente che nella Russia sovietica, avrebbe potuto unire la sua voce al coro delle voci antisocialiste, come quella di un Mises, di una Paterson, di un Hayek, di un Rothbard, intonando la sua personale antifona libertaria in un modo del tutto originale e alternativo a quello dell’intellighenzia americana. 

Ayn Rand avrebbe seguito per tutta la vita la sua vocazione di ribelle, dapprima contro socialisti, comunisti, marxisti e bolscevichi, poi contro liberal e libertarian, nonostante l’influenza esercitata dagli “Austriaci” della Scuola di Vienna, in special modo da parte di Ludwig von Mises, sulla sua cultura economica e politica. Infatti tutti i suoi rapporti, a esclusione di quello con Mises continuato con amabilità, sarebbero stati conflittuali.

Quello con Hayek, a causa dell’intervento statale in economia da lui ipotizzato in circostanze eccezionali ma da lei del tutto disapprovate per salvaguardare la purezza del laissez faire.

Quello con Murray Rothbard, a causa del suo anarchismo spinto fino all’eliminazione dello Stato ma da lei considerato una sorta di hippism.

Mentre però il rapporto con Hayek sarebbe continuato a distanza, seppure in modo critico ma fondato su reciproca stima, quello con Rothbard, dopo una iniziale frequentazione nel Collective – il gruppo di amici e sostenitori oggettivisti creato da Ayn Rand agli inizi degli anni Cinquanta a New York e vivacemente attivo fino allo “scisma” del 1968 – sarebbe stato interrotto bruscamente e definitivamente per motivi personali. 

Anche lo stretto e intenso rapporto con Isabel Paterson sarebbe stato troncato nel 1948 in modo irreversibile per più ragioni, sia personali che ideologiche, tra cui la discordanza in fatto di religione, che Paterson, deista, voleva coniugare con il capitalismo, seppure in un regime di separazione, e che Rand, atea, voleva invece escludere da ogni rapporto con la vita sociale.

Eppure con lei aveva avuto fin dal 1940-41 un’amicizia intellettuale di reciproco supporto e influenza con ricadute rilevanti sul piano formativo e produttivo: ad esempio, era stata Isabel Paterson a iniziarla alla storia politico-istituzionale americana e ai Founding Fathers, e probabilmente anche a John Locke e ai liberali classici, mentre era stata lei a dare dei suggerimenti a Paterson per il suo libro “The God of the Machine”.

Il quale era stato pubblicato nel 1943, l’anno zero del libertarismo americano segnato dall’uscita contemporanea dei suoi tre testi fondativi: “The God of the Machine” di Paterson, “The Fountainhead” di Rand e “The Discovery of Freedom” di Rose Wilder Lane. Così almeno secondo certa critica.

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