Free JazzCome funziona Catalytic Soundstream, la prima piattaforma creata e gestita da musicisti

Il servizio ha dimensioni ridottissime, un catalogo che non supera i 150 album e un numero di sottoscrittori fedele ma limitato. L’obiettivo è di farsi ascoltare, curare un’offerta di qualità e, se si riesce, guadagnarci

da Pixabay

Di fronte alle difficoltà dello streaming, molti musicisti vorrebbero avere una piattaforma propria, dedicata al proprio tipo di musica e con un preciso sistema di ripartizione delle quote dei ricavi. Non è un sogno impossibile. Anzi, un modello di riferimento esiste già.

Catalytic Soundstream è un servizio di streaming creato, gestito e posseduto soltanto da musicisti. È nato con l’obiettivo di proporre un’offerta di musica indipendente (il genere principale è il free jazz) attraverso una curatela attenta dei titoli.

Per i sottoscrittori, che dovranno pagare 10 dollari al mese, il catalogo offre 150 album fissi, più una serie di novità imprevedibili. Molti album sono opere degli stessi soci, (circa 30, tra compositori e strumentisti) che per contratto sono tenuti a creare e fornire in esclusiva almeno un nuovo disco all’anno. Al momento gli album in esclusiva sono 55 (il servizio è cominciato nel 2020).

Come spiega questo articolo di Pitchfork, il paragone più azzeccato non è con Netflix (enorme, miliardaria e con un’offerta variegata) bensì con Criterion Channel. Poche proposte, ma selezionate per un pubblico di appassionati disposto a curiosare tra le novità.

I nomi sono piccole celebrità dell’improvvisazione, tra cui Joe McPhee, Tomeka Reid, Tashi Dorji, Ikue Mori, claire rousay, Chris Corsano e Luke Stewart. Frequentano stili e forme diverse: dalla tradizione (McPhee) alle registrazioni sul campo (rousay). Ma in comune hanno il fatto di essere tutti underground, poco noti, indipendenti.

Se si guarda ai numeri, Catalytic Soundstream non è nemmeno paragonabile a servizi come Spotify o a Apple. Il numero degli iscritti si aggira sui 150 (pochissimi), il fatturato arriva a poche migliaia di dollari.

Ha anche una storia recente. Nasce nel 2020 come costola di Catalytic Sound, servizio di vendita online di articoli musicali. Il fondatore, Ken Vandermark, decide di tentare l’esperimento dopo aver letto un tweet del rapper Nipsey Hussle in cui venivano messe in fila le revenue derivanti dai diversi servizi di streaming: per un milione di visualizzazioni Tidal dà 12.500 dollari, Spotify e Amazon Music circa 4mila.

Da lì nasce l’idea. Costruirsi una propria piattaforma, con le proprie regole. Funzionerà? Catalytic Soundstream ha aspetto essenziale, ridotto all’osso. Chiede la registrazione su Patreon e le tracce vengono diffuse con SoundCloud.

I ricavi sono suddivisi in due parti: un terzo viene impiegato per i costi della struttura. Gli altri due sono distribuiti, in maniera uguale, tra gli artisti (ogni mese, a turno, uno rinuncia). È un meccanismo diverso rispetto a quello delle grandi piattaforme, in cui il pagamento avviene in quote proporzionali sul numero dei click per ogni canzone (e premia così i generi e gli artisti più popolari).

Con questo business model, si capisce subito che la nuova piattaforma non farà diventare ricchi i suoi soci. Ma se è per quello, nemmeno Spotify. Anzi, le entrate annuali di ciascun musicista risultano poco più alte della media di chi è presente sulla piattaforma svedese. E durante i mesi della pandemia avere un’entrata sicura ogni mese (anche se la cifra variava)

Per il resto, le ambizioni non sono verticali. Giganti come Apple Music sono irraggiungibili e, come dichiarano i soci stessi, l’idea di competere con loro non rientra nemmeno nei loro obiettivi. Piuttosto, l’idea è di estendersi a livello orizzontale, incoraggiando la nascita di altre piattaforme analoghe, con numero di aderenti limitato (Catalytic si ferma a 30) e che coltivino generi di nicchia del settore.

Non è insomma una rivoluzione dello streaming, e nemmeno una lotta ai mulini a vento. Lo spirito di Catalytic è quello della coesistenza con i giganti, mentre offre un sottobosco di alternative per appassionati. «Quello che vogliamo», spiega Vandermark a Pitchfork, «è che questi musicisti continuino a fare quello che fanno già. E che vengano ascoltati».

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