Ideologia del fallimentoIl conservatorismo negazionista che guida calcio e politica

Il dibattito sulla Superlega mostra uno schema di pensiero, già conosciuto tra i partiti di oggi, di tipo demagogico-populista, costruito sull’opposizione tra grande (cattivo) e piccolo (buono) e adottato da chi denuncia l’inaccettabilità morale di una soluzione per negare l’esistenza di un problema

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Il dibattito sulla Superlega offre lezioni che vanno molto al di là della politica e del business del pallone e descrivono in modo illuminante i caratteri di un conservatorismo, che è extra-calcistico e pure extra-politico e rappresenta una sorta di paradigma trasversale del pensiero a un tempo perdente e dominante, con i suoi corollari retorici finto-egualitari e vetero-solidaristici.

È il conservatorismo (di destra, come di sinistra) di chi denuncia l’inaccettabilità morale di una soluzione per negare la realtà stessa di un problema. Che il problema sia il nanismo del sistema imprenditoriale, la scarsa produttività del lavoro, l’inefficienza del sistema formativo o il welfare gerontocratico.

O, come nel caso di specie, la deriva entropica del calcio europeo, la cui organizzazione politica e regolatoria finisce per dissipare risorse, non valorizzando un pubblico globale praticamente senza uguali e continuando, in nome della “solidarietà”, del “merito” e del sogno dello scudetto al Crotone, a fare dei campionati nazionali in Europa una questione privata dei solitissimi noti.

Lo schema ideologico di questo conservatorismo è classicamente demagogico-populista e costruito sull’opposizione tra grande (cattivo) e piccolo (buono), multinazionale (cattivo) e locale (buono), interessi economici (cattivi) e interessi politici (buoni). È sempre lo stesso schema, che si ripete negli identici termini, con qualunque oggetto.

Dobbiamo tenerci il calcio che c’è, anche se ormai destinato al fallimento imprenditoriale e sociale, per la stessa ragione per cui dobbiamo salvare per l’ennesima volta Alitalia, per farla fallire e salvarla di nuovo, come se questo fallimento descrivesse il destino cinico e baro di una società sana, vittima di un complotto plutocratico globale e la negazione della realtà fosse la soluzione eroica e moralmente obbligata a questa sfida.

Se in termini politologici il conservatorismo politico-costituzionale è la difesa di principi e soluzioni di governo che hanno dato buona prova di sé, cioè buoni risultati in termini di coesione sociale, crescita economica e sviluppo civile, il nuovo conservatorismo trasversale, che a sinistra prende i tratti della frustrazione populista, a destra della paranoia reazionaria e tra le élite “pseudo-resistenti” dell’affarismo parassitario, è una sorta di ideologia del fallimento e della bella morte contro i demoni e i presunti padroni della società globale.

Se è logico che l’internazionalizzazione dei processi economici enfatizzi le istanze e le ossessioni di controllo, indebolendo i contrappesi democratico-nazionali, non è logico e naturale, ma semmai ideologico, cioè interessato, che la reazione a questo fenomeno riscriva la storia del mondo, della demografia, dell’economia e alla fine, ovviamente, pure del calcio, in termini smaccatamente negazionisti, traendo da ogni problema o fallimento non una lezione sulla necessità del cambiamento, ma sul dovere della Resistenza.

Non sapremo mai, probabilmente, se la Superlega fosse o no una buona soluzione, perché la reazione teleguidata dei potenti-perdenti vincerà, spiegando a tutti che era proprio la soluzione a rappresentare il problema. Come sul debito pubblico. Come sulla spesa previdenziale. Come sulle politiche per il Sud. Dove anche a difendere i fallimenti per qualcuno c’è sempre qualcosa da guadagnare in termini politici, di potere o di quattrini.

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