Le donne come produttrici di alimenti, consumatrici e responsabili del cibo a livello domestico
Chi produce il cibo nel mondo? In molti paesi in via di sviluppo, l’agricoltura contribuisce in proporzione decrescente al PIL, ma continua a essere una delle principali fonti di occupazione e di sostentamento.
Questo vale soprattutto per l’Asia e l’Africa. In tutti i blocchi regionali del mondo, ad eccezione dell’Africa subsahariana, l’agricoltura contribuisce per meno del 10% del PIL . E sebbene ovunque la percentuale di lavoratori agricoli sia in calo, in Asia e in Africa rimane vicina al 60%. Questa differenza tra il contributo dell’agricoltura al PIL e la popolazione che essa sostiene, nelle principali regioni in via di sviluppo del mondo, significa che molti sono intrappolati in schemi di sussistenza a bassa produttività. E questa trappola non è priva di implicazioni di genere, data la femminilizzazione dell’agricoltura.
La femminilizzazione dell’agricoltura
Le lavoratrici rimangono molto più dipendenti dall’agricoltura per la sopravvivenza rispetto ai lavoratori di sesso maschile, a causa del loro minore accesso a lavori non agricoli. In Africa, ad esempio, nel 2008, il 63% delle lavoratrici rispetto al 48% dei lavoratori di sesso maschile dipendeva da mezzi di sussistenza basati sull’agricoltura. Le cifre per l’Asia sono rispettivamente del 57% per le donne e del 48% per gli uomini. In India, nel 2004-2005, il 49% dei lavoratori maschi, contro il 65% delle lavoratrici, e l’83% delle lavoratrici rurali erano ancora impiegati in agricoltura.
Le donne costituiscono del resto anche una parte sostanziale della forza lavoro agricola totale. In Asia nel suo complesso, ad esempio, nel 2008 le donne costituivano il 43% di tutti i lavoratori agricoli, rappresentavano fino al 52% in Cambogia e nella Repubblica Democratica Popolare del Laos, il 50% in Bangladesh, il 49% in Vietnam e il 48% in Cina. In altre parole, nelle principali regioni produttrici ed esportatrici di riso del mondo, quasi la metà dei lavoratori agricoli sono donne. Nell’Africa subsahariana, ancora, le donne costituiscono quasi la metà della forza lavoro agricola.
Inoltre, in base ai dati sull’uso del tempo per parti dell’Africa subsahariana, India e Cina, Doss [2010, 9] osserva che se consideriamo il tempo speso nella produzione, lavorazione e preparazione del cibo, le donne contribuiscono per il 60-70% del lavoro totale necessario per portare il cibo in tavola nei paesi in via di sviluppo.
In realtà, non solo la nostra dipendenza dal lavoro delle donne in agricoltura è elevata, ma è in crescita. Gli uomini, in misura molto maggiore delle donne, si sono spostati verso lavori non agricoli. In tutte le parti del mondo, ad eccezione dell’Europa, negli ultimi quattro decenni le lavoratrici sono aumentate come frazione della forza lavoro agricola totale, in alcuni casi gradualmente, come in Asia, e in altri casi in modo sostanziale, come in Oceania e Sud America.
In altre parole, stiamo assistendo a una tendenza alla femminilizzazione dell’agricoltura (qui definita come un aumento della percentuale di donne sul totale della forza lavoro agricola, anche laddove la percentuale assoluta rimane uguale o inferiore alla metà). Chiaramente, la transizione agraria – il passaggio dei lavoratori dall’agricoltura all’industria e ai servizi, e dalle aree rurali alle aree urbane – che ci si aspetta con lo sviluppo, è stata altamente sessista.
Per rilanciare e sostenere la crescita agricola, nonché per adattarsi o mitigare i cambiamenti climatici, il ruolo delle agricoltrici sarà quindi centrale. L’efficacia del loro contributo, tuttavia, dipenderà in modo cruciale dalla garanzia dei loro diritti sulla terra che coltivano, nonché dall’accesso al credito e a fattori di produzione quali fertilizzanti, irrigazione, tecnologia, informazioni sulle nuove pratiche agricole e infrastrutture di commercializzazione.
Vincoli di produzione e implicazioni
Sebbene la percentuale di donne agricoltrici sia in crescita, esse devono affrontare un’ampia gamma di vincoli di genere che incidono sul loro potenziale produttivo come lavoratrici agricole.
In primo luogo, le agricoltrici, come la maggior parte degli agricoltori dei paesi in via di sviluppo, gestiscono piccole aziende agricole (in India, il 70% di esse ha una superficie pari o inferiore a 1 ha e l’80% è inferiore a 2 ha).
Inoltre, la mancanza di terra di proprietà è cresciuta in molte regioni. Le donne, in ogni caso, storicamente non possiedono terra, la maggior parte di loro ne possiede poca o non ne possiede affatto. Un’ampia percentuale di donne agricoltrici lavora come manodopera non retribuita nelle aziende agricole a conduzione familiare, o come lavoratrici senza terra nei campi di altri, o con precari accordi di mandato su terreni ottenuti attraverso la famiglia o i mercati. Se prendiamo le proporzioni di lavoratori autonomi agricoli e lavoratori dipendenti per genere, nella maggior parte delle regioni le donne «indipendenti» sono di norma quelle che lavorano in aziende agricole a conduzione familiare, dove la terra è solitamente di proprietà di uomini (siano essi mariti o suoceri), piuttosto che delle donne stesse.
Anche se pochi paesi raccolgono dati disaggregati per genere a livello nazionale sulla proprietà fondiaria o patrimoniale, le informazioni raccolte da quelli che lo fanno in studi su piccola scala in altri paesi mostrano una sostanziale disuguaglianza di genere. Nella maggior parte dell’Asia meridionale, ad eccezione dello Sri Lanka, ad esempio, poche donne possiedono terra.
In Nepal, uno dei pochi paesi che ha raccolto informazioni sulla proprietà fondiaria per genere nel censimento del 2001, le donne sono risultate essere proprietarie terriere solo nell’11% di tutte le famiglie rurali e nel 14% delle famiglie rurali proprietarie di terra.
In India, sebbene non esistano dati completi per le aziende agricole, il censimento agricolo 1995-1996 mostra che le donne detengono solo il 9,5% di tutte le aziende agricole operative (cioè in coltivazione). Nella Cina rurale, le donne costituiscono circa il 70% di coloro che non hanno accesso alla propria terra, dal momento che raramente vengono loro conferiti diritti di uso di un lotto nell’ambito del sistema di assegnazione familiare per l’uso della terra, quando si trasferiscono per matrimonio o divorzio.
da “Disuguaglianze di genere nelle economie in via di sviluppo”, di Bina Agarwal, Il Mulino, pagine 676, euro 55